U.P.P.I.: Contratto di locazione di immobile “non abitativo”: qual è il reddito che il locatore deve dichiarare?
Quando il canone di locazione viene ridotto per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione possono sorgere alcune questioni di natura fiscale che è bene tenere presente
Contratto di locazione di immobile “non abitativo”: qual è il reddito che il locatore deve dichiarare?
Talvolta accade che il canone di locazione non sia interamente percepito e corrisposto, sulla base di un accordo tra locatore e conduttore nel caso in cui quest’ultimo provveda alla ristrutturazione dell’immobile locato. L’Agenzia delle Entrate in un avviso di accertamento “bocciato” dalla Commissione Tributaria Regionale, sosteneva che il reddito del locatore dovesse comprendere anche il valore dei lavori di ristrutturazione eseguiti dal conduttore, considerati come un “canone in natura”.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha confermato la validità dell’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato al locatore un maggior reddito ai fini IRPEF . La Suprema Corte, partendo dal presupposto che l’art. 26 comma 1 del TUIR prevede che i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito complessivo del proprietario indipendentemente dalla loro effettiva percezione, ribadisce ciò che già una precedente pronuncia in tema di IVA (Cass.15808/2006) aveva indicato: il mancato esborso di parte del canone per i lavori di ristrutturazione eseguiti sull’immobile da parte del conduttore era in buona sostanza una forma “diversa” di pagamento.
D’altronde, a differenza delle locazioni abitative per cui vige la previsione dell’art. 8 della legge 431/98, nei contratti di locazione di immobili locati per fini diversi da quello abitativo i “canoni non percepiti” per morosità concorrono a formare il reddito del locatore fi no alla risoluzione del contratto o al provvedimento di convalida dello sfratto. E questo perché l’attribuzione del reddito di locazione degli immobili “non abitativi” è svincolato dalla sua effettiva percezione basandosi solamente sulla titolarità del diritto reale, proprietà o usufrutto che sia, come già chiaramente indicato dalla stessa Cassazione nr. 28743/2021. Ecco che, quindi, nella fattispecie concreta che ha dato origine all’Ordinanza di cui sopra, nella dichiarazione dei redditi riferita al periodo di canone “ridotto o assente” il proprietario avrebbe dovuto indicare il canone di locazione comunque percepito grazie ai lavori di ristrutturazione sull’immobile eseguiti dal conduttore.
Applicazione di questo principio fiscale in altra ipotesi
La situazione in cui nel contratto di locazione di immobile “non abitativo” è prevista la riduzione o l’assenza del canone per un periodo iniziale, presa in esame dalla Cassazione, non è l’unica in cui potrebbe verificarsi questa problematica di determinazione del reddito del locatore.
Infatti il canone di un contratto di locazione può essere rivisto al ribasso durante il rapporto contrattuale, senza che questo fatto implichi una risoluzione dell’originario contratto, con un accordo di riduzione che, una volta registrato, è opponibile a terzi ed ha data certa. Ma se la rinegoziazione del canone è motivata dalle spese di ristrutturazione che sosterrà il conduttore, allora gli importi non corrisposti in denaro si considereranno egualmente percepiti in beni o servizi equivalenti, andando quindi a formare per il locatore reddito da sottoporre a tassazione qualora l’Amministrazione Fiscale riesca a collegare concretamente la riduzione del canone e le spese sostenute dal conduttore.
Conclusioni
Si deve dunque porre molta attenzione nell’indicare le ragioni che portano a pattuire la riduzione del canone di locazione per evitare situazioni “permutative” che cioè possano essere considerate pagamenti in natura e perciò legittimamente concorrenti a formare il reddito da locazione degli immobili non abitativi. Aggiornamento Istat del canone di locazione: quando e quanto Anche per l’aggiornamento Istat dei contratti di locazione abitativi differiscono da quelli “commerciali”. Infatti la l. 392/78 all’articolo 32, prevede che nei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo l’aggiornamento del canone non possa essere superiore al 75% dell’incremento dell’indice Istat.
Visto che l’articolo 79 della stessa legge stabilisce la nullità delle pattuizioni che attribuiscono un vantaggio al locatore rispetto all’inquilino, la previsione dell’articolo 32 non è derogabile, salvo che nell’ipotesi prevista dallo stesso articolo al comma 3 con riferimento alle cosiddette “grandi locazioni”, cioè i contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo con canone annuo superiore a € 250.000,00 e riguardanti immobili non qualificati di interesse storico. Per gli immobili ad uso abitativo locati a canone concordato l’aggiornamento non può essere superiore al 75%, per espressa previsione dei “tipi” contrattuali che devono essere utilizzati nella redazione di questi contratti di locazione. Invece i contratti di locazione cd. a canone “libero” vista l’assenza di alcuna norma al riguardo, possono prevedere l’applicazione al 100% dell’incremento Istat. L’aggiornamento non è mai automatico ma deve sempre essere richiesto dal locatore al conduttore tramite una raccomandata a.r. L’opzione del regime fi scale della cd. “cedolare secca” impedisce invece l’applicazione di qualsiasi aumento per tutta la durata dell’opzione che, se revocata, consente di applicare l’aumento Istat dall’annualità successiva.
L’Attestato di Prestazione Energetica (APE): perché è necessario?
L’Attestato di Prestazione Energetica, meglio conosciuto come APE, è il documento che determina la classe energetica di un edificio, stimando il fabbisogno energetico necessario per il rispetto delle condizioni previste dalla normativa. Tale dato è molto utile in quanto permette di stimare anche i costi energetici (es. riscaldamento, raffrescamento) che si dovranno sostenere per l’utilizzo dell’immobile che si intende locare o acquistare.
L’APE deve essere redatto e registrato, in apposito portale regionale, da un tecnico abilitato che ha l’obbligo di eseguire un sopralluogo con il rilievo dei dati necessari come ad esempio i generatori di calore, la tipologia di serramenti esterni, le dimensioni dei vani, l’esposizione e la posizione rispetto alle unità confinanti e limitrofe. Pertanto due appartamenti delle stesse dimensioni, nello stesso fabbricato possono avere classi energetiche diverse sulla base del fatto che confini con unità scaldate o meno. Questo documento è necessario sia per i contratti di locazione che per gli atti traslativi ed è stato introdotto dal D.lgs. 192/2005, con la denominazione di Attestato di Certificazione Energetica e poi con successive modificazioni ed integrazioni: le più significative sono il DL 63 del 04/06/2013 e il Decreto Interministeriale del 26/06/2015.
Dopo tali aggiornamenti siamo arrivati all’attuale classificazione che prevede una suddivisione in dieci classi dalla inferiore G, alla migliore A4.
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