Alberto Biasi: «Così l’arte mi allunga la vita»
A 87 anni il maestro dell’Optical inaugura due nuove mostre, a Teolo e a Milano: «Mi apprezzano dovunque, ma non a Padova. La Biennale? Tutti copiatori»

Non c’è il conforto della statistica, ma viene da credere ad Alberto Biasi quando dice che «l’arte è il miglior elisir di lunga vita». A 87 anni, quasi 88, il maestro di arte cinetica e visual è più attivo che mai. Sabato prossimo inaugurerà “Acquerelli come fiori”, una sua personale al Mac Dino Formaggio di Teolo, con trasparenze di acquerello su carta, un nucleo di opere realizzate fra gli anni ’80 e ’90 ed esposte per breve tempo solo nel 1997 all’oratorio San Rocco di Padova.
Il 19 marzo, alla galleria e al museo San Fedele di Milano si aprirà invece “La danza della luce”, un «viaggio poetico attraverso le opere più iconiche del maestro dell’arte optical, in cui esplora luce, movimento e percezione». Considerato che una sua opera sarà inclusa nella collettiva “In between - arte italiana e americana dalla Collezione Ghisla” che si inaugura venerdì a Locarno, che una è appena stata esposta alla Tate di Londra e un’altra alla mostra sul Futurismo a Roma, si capisce perché Biasi sia così orgoglioso di questo rinnovato interesse verso la sua sterminata produzione.
«Ho fatto più di 150 personali e oltre 600 collettive», dice, aprendoci le porte del suo laboratorio-museo. «Le mie opere sono sempre state molto apprezzate in giro. Ho fatto perfino una mostra a Honolulu».
Va orgoglioso dei suoi successi, Biasi. Ne custodisce le prove: riconoscimenti, articoli, recensioni sono conservati con cura in un archivio, oppure esposti fra le sue opere che sono dovunque, nei due piani dell’edificio di via Sorio.
«Eppure...» - prosegue, facendosi scuro - «eppure qui a Padova non mi sento apprezzato», dice. «Qui si parla di tutto tranne che di arte. Questa cosa mi ha fatto arrabbiare per un periodo, ora non più. Ma è un dato di fatto: dagli anni ’60 agli ’80 c’era interesse, c’erano galleristi capaci che seguivano gli artisti del gruppo N, come me e Massironi, poi le cose sono cambiate. Dopo la mostra che ho fatto agli Eremitani, e che ha avuto 35 mila visitatori, è cominciata una crisi, economica e artistica, che ha spazzato via tutto. Oggi in città, che io sappia, non c’è neanche una galleria importante».
Se ne dispiace, Biasi, perché la sua idea di arte è sempre stata “sociale”. Non a caso amava e ama definirsi un operatore artistico. «E credo ancora che sia così», dice. «Gli artisti sono quelli che inventano cose nuove, ma soprattutto quelli che aiutano a vedere in modo nuovo cose che ci sono già». È un po’ quello che succede davanti alle sue opere visual, che chiamano l’osservatore a essere complice, perché l’immagine cambia a seconda di dove si posa lo sguardo. Così i quadri si muovono, ci sono quelli che raccontano il vento, altri che sono gocce di pioggia. Magia, arte, illusione. Il patto con il pubblico è questo: voi tornate bambini - dice l’artista - e io vi porto dall’altra parte della mia opera, da qualche parte nel mondo. «Anche Fontana con i suoi tagli faceva qualcosa di simile: lui apriva l’orizzonte verso un altro luogo oltre la tela. Io invece metto i colori oltre il primo strato. E chi mi segue, può andare oltre».
È un trucco che Biasi ha scoperto da ragazzo, con le carte forate che si usavano per coltivare i bachi da seta, lui che indirizzato dal padre stava per intraprendere tutt’altra carriera. Oggi quelle carte forate che gli avevano suggerito l’illusione di un movimento sono esposte fra i cimeli del suo laboratorio. E lui, Biasi, racconta sempre con piacere come gli hanno cambiato la vita: la deviazione verso l’arte, i primi premi quando il padre era già morto, la lunga esperienza da insegnante, gli esordi di successo nella grafica pubblicitaria, le esperienze nella pittura, la folgorazione per l’arte visual, passando per il gruppo N come per altre avventure affascinanti come quando è stato presidente dell’Ente provinciale per il Turismo. «Sono sempre stato curioso e libero», dice. «Non ho mai voluto contratti, anche se ora ho un accordo con un gallerista. Per me gli artisti sono quasi tutti venduti. E tutti ripetono all’infinito le stesse cose. Anche io sono caduto in questa trappola, un po’ per comodità, un po’ perché è difficile inventarsi sempre qualcosa di nuovo. Le mie Torsioni sono molto richieste e continuo a farle». Tra il cinico e il disilluso, Biasi ne ha per tutti e anche per se stesso. «La Biennale d’arte? Non mi interessa più, mi sembra che anche lì si replichino sempre le stesse cose». E se gli si chiede cosa è l’arte oggi per lui, si distende in un sorriso: «Picasso rispondeva che se lo avesse saputo non lo avrebbero detto per risparmiarsi le ire del Padreterno. Io dico che l’arte è imparare a vedere e apprezzare le cose con le doti innate che abbiamo». Proprio come mettersi davanti a un suo “Tuffo nell’arcobaleno” e riuscire a sognare.
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