Rugby. Le prime parole del nuovo ct Gonzalo Quesada

Prime parole, in un italiano quasi immacolato, per Gonzalo Quesada nono e nuovo ct della Nazionale Azzurra di rugby dell’era 6 Nazioni.

Motivazione per la scelta dell’Italia, focus sull’identità italiana del gioco, selezione naturale del leader azzurro, lavorare con quello che si ha e non con quello che manca, immersione nel gioco dell’under 20, delle franchigie, dei club. E par di capire subito salvare il gioco d’attacco sviluppato da Kieran Crowley magari non sempre partendo dai 22 ma da altre posizioni del campo e, almeno, non in continuazione. Questi i temi trattati alla presentazione del 31 ottobre nel salone d’onore del Coni davanti al presidente Giovanni Malagò e ai vertici della Fir.

Quesada ha 49 anni come quelli di George Coste quando nel 1993, trent’anni fa, prese in mano la piccola Italia e le fece guadagnare l’ingresso al torneo. Due anni di più di Berbizier quando, dal 2005 al 2007, arrivarono le vittorie importanti esterne sull’Argentina e sulla Scozia, i quarti ai Mondiali di Francia sfiorati di due centimetri.

Un pumas alla guida dell’Italia dopo un quarto di secolo tra neozelandesi, francesi e un sudafricano. Un argentino che pare un anglosassone, per sua stessa definizione, ma che vive il rugby con la passione e la “garra” dei Pumas.

Mediano d’apertura, scarpa d’oro al mondiale 1999, quindici anni da allenatore nello staff di Francia e Argentina e coach titolare per i Jaguares in finale al Super 15 e in club come il Racing 92 e lo Stade Français dove ha allenato e vinto con Sergio Parisse. Con cui s’è consultato, come pure con gli altri argentini ex azzurri “Castrogiovanni, Diego” ha raccontato prima di dire “Sì” al presidente Innocenti.

Che alla presentazione ha esordito così: “La scelta di Gonzalo” ha detto il presidente Fir “ viene prima di Gonzalo. Innanzittuto ringrazio Kieran Crowley che due anni fa ha preso il gruppo in un momento di grande difficoltà e ha ridato fiducia all’ambiente con le vittorie. Eravamo al 14esimo posto nel ranking e ora siamo fissi all’11esimo”.

E prosegue: “A marzo dopo il 6 Nazioni è iniziato il dibattito se cambiare o meno ct, poi abbiamo cercato i candidati. C'erano due profili (l’altro era Laurent Travers ma in realtà era un bouquet di candidature possibili, fra cui Cheika e autocandidature come quella di Eddie Jones), ma alla fine la scelta è caduta su Quesada perché è Gonzalo, perché è giovane. I coach si giudicano da come fanno giocare le squadre e dai risultati. Ha fatto già molte esperienze di alto livello e può iniziare un ciclo con noi”

IL NEO CT

“Cercherò di parlare in italiano: la scelta di allenare l’Italia per me è stata facile da prendere.

Ho lavorato in due staff nazionali e sono stato capo allenatore in Europa. A Parigi in club dove ci sono giocatori di 12 nazionalità diverse. Il mio nuovo obiettivo era diventare ct di una Nazionale. Spero di conoscere presto staff e allenatori. Ho visto tutte le partite di Benetton e Zebre degli ultimi mesi, sono stato in Sudafrica e ho visto le partite dell’Under 20 ma, prima di parlare di gioco, per me va definita la nostra visione comune del gioco. Io sono convinto della mia visione del rugby, ma prima di proporla devo ascoltare molto e comprendere la cultura italiana”.

“Sarà il mio un lavoro integrato con tutti (giocatori, staff, club), ne abbiamo molto parlato con Marzio in questi mesi. La mia casa rugbistica sarà qui a Roma (gli Azzurri torneranno ad allenarsi all’Acqua Acetosa, non più a Verona che ospita un primo concentramento a dicembre in attesa del restyling dell’impianto romano). Voglio propormi con molta umiltà, aiuterò a lavorare nei club, nell’under 20 (accademia e centri di formazione), con tutto il rugby italiano. Mi sento già parte della famiglia italiana”.

Sul gioco dell’Italia visto sinora

“Dobbiamo far crescere la performance come fatto sinora ma anche avere i risultati” riferendosi al Sei Nazioni scorso, il migliore dopo tanti anni per sviluppo di gioco ma, purtroppo, con uno 0 in classifica.

“Ho potuto vedere tutte le partite del mondiale allo stadio, come voi ho sofferto per le partite finali. Credo che negli ultimi due anni ci siano stati miglioramenti. Una parte del lavoro va certamente tenuta. Ma va migliorata”.

Ha parlato con lo staff della Nazionale, uno dei più snelli a livello internazionale. Ci saranno nuovi innesti?

“Ho accettato – afferma Quesada - di lavorare con lo staff che c'è. E’ vero sono abituato a lavorare con più persone a disposizione (intanto si sa già che arriverà Philippe Doussy per allenare i calciatori). Mi focalizzo su quello che abbiamo a disposizione e non su quello che manca. Dobbiamo lavorare su quello che possiamo controllare noi”.

SEI NAZIONI

“Abbiamo possibilità di fare un buon torneo. Purtroppo ho solo due giorni alla settimana per lavorare con la squadra (al primo concentramento di Verona) e questo è un problema. E’ la prima volta che lavoro con uno staff che non conosco”. Il problema è che da qui all’esordio del 3 febbraio Quesada avrà oltre al miniraduno dell’11 dicembre, solo due giorni di campo dal 3 al 5 gennaio. “Faremo con quello che abbiamo” ha chiosato il neo ct.

Tre dei cinque ultimi allenatori che l’hanno preceduta (Mallett, Brunel, O’ Shea, Smith e Crowley) hanno cambiato il capitano come primo atto della loro gestione, in una sorta di discontinuità. Quale sarà la sua scelta in merito?

“Dobbiamo prima definire la nostra visione comune con tutto il gruppo di giocatori. A me piace molto lavorare con i video in questo senso. Fatto questo avremo il nostro leader naturale e la scelta del capitano sarà la conseguenza di questa consapevolezza. Non conosco ancora i giocatori, a tutt’oggi oggi non è possible fare la scelta. Il mio lavoro inizia oggi e non ho contattato nessuno fra giocatori, staff e Crowley per rispetto del lavoro e del mondiale che stavano vivendo”.

Lei è argentino, la “garra” la passione dei Pumas si può insegnare o, almeno, trasmettere?

“Molti mi considerano e io mi ci identifico come coach di tipo anglosassone, mi piace l’analisi, la preparazione meticolosa. Sono un latino, ma non ho nulla da insegnare sulla garra. Sono sicuro che la passione è qui. Sono sicuro che gli italiani hanno la passione per il rugby. Sono io che voglio imparare la cultura nazionale italiana. E’ una delle ragioni per cui sono venuto qui, mi sono convinto di fare questa esperienza. Il cuore non è un problema”.

La parola è poi passata a Innocenti per un bilancio sul mondiale appena concluso, sull’identità di un gruppo non omogeneo, non tutto di scuola italiana (ci sono inglesi, francesi, australiani e argentini)

“Sul mondiale” ha detto Innocenti “il bilancio ha un lato positivo per aver raggiunto la qualificazione per il mondiale 2027. Non sono d'accordo sul sistema ma questa è la regola, e almeno non abbiamo questo problema. Come invece una Georgia che dovrà affrontare tutto il percorso delle qualificazioni”.

“E’ invece totalmente negativo quello che è successo dopo . Ci sono 4 squadre inarrivabili che a questo livello ci possono spazzare via. Noi abbiamo mostrato la nostre ambizioni (alcuni proclami della vigilia ndr)? E' un aspetto interessante. Nuova Zelanda e Francia non ci hanno affrontato in quella maniera, perché noi avevamo proclamato qualcosa. Ci hanno affrontato entrambe con la miglior squadra possibile, e la Nuova Zelanda non l’aveva mai fatto prima, e con l'atteggiamento e la grinta da playoff perché siamo cresciuti, perché era un dentro o fuori. Esistono dei meccanismi nell’alto livello per cui si affronta così un’avversaria. Se vogliamo vederci un aspetto positivo, è questo. Ci hanno pesato e considerato pericolosi. In questo momento se giocano al 100 % ci spazzano via. Gonzalo non ha questo compito, non deve vincere il 6 Nazioni o il mondiale. Devo far crescere l’Italia”

Identità nazionale

Sul tema ha voluto rispondere anche Quesada, dimostrando una profondità di pensiero non comune per l’aria del tempo, non solo sportiva.

“La prima cosa che penso sull'identità del gruppo è che ho allenato 15 anni le squadre franesci (Racing e Stade) a Parigi che è una grande città. Sono abituato a fare l’allenatore con giocatori di 12 nazionalità diverse. Ma questa è l'equipe italiana, è vero che Pumas e Sudafrica sono nazionali totalmente autoctone. Ma ricordatevi che l’Italia è anche un paese di emigrazione molto forte in tutto il mondo (Il ct ha un nonno materno di Trieste), è anche questa è l'identità dell'Italia: quindi se gioca qualche ragazzo nato in Argentina, in Sudafrica o altrove si tratta di ragazzi italiani”.

Trequarti

“Mi piace molto questo gioco attuale visto al mondiale, mi piace come giocano gli All Blacks. A me piace l'attacco, è questo non va cambiato. La cultura d'attacco per vincere deve essere utilizzata in buona parte del campo. Però bisogna essere pragmatici. Ricordo ai miei tempi che era molto difficile giocare contro l’Italia perché la mischia era molto forte e c’era il cuore in difesa”.

“Il Sudafrica ha dimostrato che avere il territorio non è tutto, che non avere il pallone non è decisivo. L’Italia ha un gioco in attacco continuo. Io credo che serva conquista e difesa prima di uscire fuori. Servè più difesa, più pragmatismo, poi di conseguenza arriva l’attacco. Questa è la filosofia italiana che io conosco”

Parisse

“Parisse l'ho allenato per 4 anni con lo Stade, ci ho parlato prima di venire qui. Mi ha confortato sulla scelta fatta. Oltre a lui mi sono consultato con Castro, con Diego, gli argentini azzurri. Poi ho visto il campionato under 20 in Sudafrica, ci sono state delle difficoltà . Conosco il lavoro delle Accademie, dei centri di formazione e sono indubbiamente le cose giuste da fare nel percorso verso l'alto livello”.

Ha parlato con Crowley?

“Non ho parlato ancora con nessuno, è una forma di rispetto per chi ha giocato. Credo che la fine della coppa del mondo sia stata difficile. Io inizio ufficialmente dal primo gennaio, il mio lavoro invece inizia oggi.

Non conosco personalmente Crowley e non ho avuto ancora modo di confrontarmi. Mi lascia una squadra in una buona posizione”.

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