8 febbraio 1848, quando Padova si sollevò per l'Italia unita

PADOVA. L'8 febbraio del 1848 la città insorge contro la guarnigione austriaca. Una lapide sulla torre del Bo ricorda quella data: «studenti e popolani per improvvisa concordia terribili» si scontrano con i soldati dell'Imperial Regio Governo. Il giorno prima un corteo silenzioso di oltre 5000 persone aveva percorso la città dietro la bara, coperta dal tricolore, di uno studente morto per cause naturali. Questo il prologo cupo della battaglia che sarebbe scoppiata il giorno dopo. La sera dell'8 febbraio dopo una tumultuosa assemblea al Bo, gli insorti tentano di disarmare una sentinella e attaccano una pattuglia di ronda.
La sparatoria al Bo. Gli austriaci sono armati di pesanti fucili, lenti da caricare, ma micidiali. Un proiettile che si infigge nel muro nella sala bianca del Pedrocchi, oggi diventato reliquia, lascia un segno profondo. Questi fanti che vengono dalla pianura ungherese, dalla Baviera e dalla Croazia (con i baffi di capecchio, come li descrive il Giusti, e l'espressione sfinita e stoica di chi vive in un paese che gli vuol male), fanno parte di una macchina bellica poderosa a cui corrisponde una rete burocratica inflessibile. A Venezia, a Milano, a Padova i patrioti devono fare i conti con le loro baionette, mentre è più facile la cospirazione e l'organizzazione di moti insurrezionali per ottenere riforme liberali a Napoli e nelle Romagne.
Tra il Bo e il Pedrocchi si scatena una mischia furiosa: il campanone dell'Ateneo rintocca a stormo e accompagna la battaglia come la tromba messicana del Deguello; la pavimentazione in acciottolato, a cogoli, viene completamente disselciata e raffiche di pietre piovono sui militari, le divise bianche si tingono di sangue. Questi rispondono sparando e, a distanza ravvicinata, usano i fucili come mazze. Tra gli insorti girano pistole e viene snudata qualche sciabola, un soldato è massacrato di botte e gli spezzano la schiena sugli scalini del Caffè. Muoiono due studenti e 5 austriaci, i feriti sono parecchie decine da entrambe le parti.
Scrive Angelo Ventura nel suo libro «Padova»: «All'indomani si abbatté una dura repressione con l'arresto di numerosi studenti e cittadini, tra i quali Guglielmo Stefani direttore del Caffè Pedrocchi e Andrea Meneghini, deputato della Congregazione provinciale, che andava così a raggiungere in carcere a Venezia Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, rei anch'essi, come il Meneghini, di aver presentato al governo austriaco istanze che reclamavano alcune riforme. 73 studenti furono espulsi dall'Università e 4 professori destituiti».
L'odio per le truppe di occupazione si era accumulato producendo alleanze nel contesto di un movimento spontaneo senza un definito programma politico ma che aveva trovato nell'Università lo stimolo di una profonda egemonia intellettuale. La classe dirigente padovana aveva affiancato alla vecchia nobiltà cittadina uomini nuovi appartenenti ad una borghesia illuminata (Cavalletto, Coletti) e membri dell'aristocrazia veneziana trapiantata a Padova per motivi di studio; un'ulteriore spinta «liberale» era data dalla Comunità ebraica di cultura cosmopolita.
L'adesione del popolo. Il coinvolgimento dei popolani, artigiani, commercianti delle piazze, bombardieri, ha il sapore del miracolo perché la Padova dell'Ottocento è del tutto priva di spirito municipale e l'adesione alle idee rivoluzionarie non lascia spazio a principi democratici. E tuttavia i tre giorni di moti padovani calamitano in piazza varie componenti con diversi intenti: nei comitati politici che, ben lontani da un movimento di affezione nei confronti della monarchia sabauda, la spinta è di stampo liberale sullo sfondo di un giacobinismo ispirato dalla rivoluzione di Parigi.
Repubblica, quindi, a Padova come a Venezia, nello spirito di Manin, il popolo vuole più semplicemente la libertà, vede nell'austriaco uno straniero e un invasore. Dopo questa fiammata che genera una passione persistente, Radetzky deve riconquistare le città venete una per una, il disorientamento politico provoca un collasso che permette agli austriaci di riprendere la piazza. La rete insurrezionale e cospirativa è comunque elitaria, il popolo è coinvolto solo a tratti.
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