Abano Terme, duemila anni di turismo nella città libera dal dolore

ABANO TERME. Oggi si chiamerebbe wellness o remise-en-forme. Duemilacinquecento anni fa, bastava dire Abano: un marchio di garanzia certificato dallo stesso nome latino, Aponus.
Che oltre a essere una divinità, non a caso nume tutelare delle acque e della salute, può vantare un’etimologia invitante, a-ponus, come dire libero dal dolore.
Con una garanzia del genere, chi non accorrerebbe anche da posti lontani, per curare la salute, tanto più in un luogo adagiato com’è ai piedi dei Colli Euganei?
La riprova è che già nel nono secolo avanti Cristo c’era movimento turistico-sanitario, nella zona alle falde dei colli Castello e Montagnon, primo nucleo di quella che sarebbe diventata Abano Terme. Davvero un dono di natura.
A fare le fortune della futura cittadina termale è un circuito geotermico che si innesta a diverse decine di chilometri di distanza, nelle Piccole Dolomiti vicentine: dove l’acqua proveniente dalle zone di ricarica naturale si infila sottoterra, scendendo anche a 4mila metri di profondità, e inizia un lunghissimo percorso (una cinquantina d’anni) durante il quale assorbe una serie di preziose sostanze chimiche, per tornare in superficie proprio nel bacino di Abano.
Gli antichi romani, arrivati da queste parti, colgono al volo l’occasione e mettono su un vero e proprio centro fitness ante-litteram, indotto compreso.
Già nel primo secolo avanti Cristo, il colle del Montirone è attrezzato come fulcro dell’area termale, con tanto di negozio di souvenir (loro lo chiamavano “emporium”), in cui si vendono vasi utilizzati per raccogliere l’acqua termale.
Ma il turismo, si sa, ha bisogno di investimenti e aggiornamenti continui. Così, per alimentare il flusso di arrivi e presenze, sullo stesso Montirone si insedia un oracolo che utilizza un marchio di prestigio, quello di Gerione: divinità assai popolare all’epoca visto che proprio a essa è intitolato il luogo, Mons Jeronis.
I maghi che vi tengono bottega acquistano ben presto una fama dovuta soprattutto a una serie di testimonial di eccellenza: le cronache ci raccontano di tale Cornelio che predice niente meno che a Cesare la vittoria di Farsalo (e per fortuna ci prende), e di un suo successore che assicura a Tiberio una vita felice.
Opinionisti di grido come Svetonio, Lucano, Plinio e Plutarco contribuiscono con i loro scritti a rinforzare il look aponense, destinato ad arrivare intatto fino ai nostri giorni, grazie a un registro degli ospiti illustri che nei secoli vede transitare re e imperatori, papi e intellettuali.
L’unico periodo congiunturale decisamente nero è quello che inizia con il sesto secolo dopo Cristo: un po’ per via delle invasioni barbariche, un po’ perché il clima culturale del cristianesimo dell’epoca tende a considerare la pratica termale come qualcosa di pagano, con tanto di rischi per la morale.
Mentre la cittadina risorge attorno alla pieve di San Lorenzo (nell’area dell’attuale Duomo), arrivano i benedettini che alla fine dell’undicesimo secolo fondano un monastero sul colle di San Daniele; un paio di secoli dopo gli agostiniani danno vita a un importante complesso monastico a Monteortone.
Abano nel frattempo è soggetta all’autorità vescovile di Padova, che quando c’è da intervenire ci va giù pesante: ne sa qualcosa un illustre medico e intellettuale della seconda metà del Duecento, Pietro d’Abano, sostenitore della dottrina aristotelica nell’interpretazione del filosofo arabo Averroè.
Condannato per eresia, per sua fortuna muore prima dell’esecuzione della sentenza; ma siccome l’ordine costituito non transige, l’autorità ecclesiastica procede al rogo del cadavere, inaugurando così senza saperlo la pratica della cremazione.
Le guerre della Padova dei Carraresi impongono alla cittadina uno scotto pesantissimo: nel 1314 il veronese Cangrande della Scala di fatto la distrugge.
La ricostruzione trova un definitivo assetto con l’arrivo della Serenissima, le tracce del cui impatto si colgono soprattutto attraverso il sistema della proprietà fondiaria: i territori confiscati ai padovani sostenitori dei Carraresi vengono assegnati alle famiglie patrizie veneziane, come i Malipiero e i Mocenigo, che oltre a realizzare le classiche ville avviano una vasta azione di bonifica, ricavandone aree da dedicare all’agricoltura; i Mocenigo, tra l’altro, aprono anche un embrione di attività industriale, con una fornace di mattoni in prossimità dell’attuale ponte della Fabbrica, destinata a durare secoli.
La Repubblica coglie anche l’importanza strategica della zona termale: a metà del Cinquecento tre medici vengono incaricati di predisporre un progetto di recupero e rilancio degli stabilimenti.
E già nel Settecento sorgono i primi grandi hotel termali, dall’Orologio al Todeschini, dal Molino al Morosini.
Quando Abano, assieme al Veneto, entra a far parte del Regno d’Italia, gli alberghi sono già una decina; e a cavallo tra i due secoli la realizzazione del tram, che da Padova arriva fino a qui, dà un’ulteriore spinta.
Bruscamente interrotta peraltro dalla Grande Guerra, quando dopo la disfatta di Caporetto il generale Armando Diaz decide di istituire proprio ad Abano il suo quartier generale, fissandolo nell’albergo Trieste (proprio per questo oggi chiamato Trieste-Vittoria).
Una scelta bissata nell’ultima fase del secondo conflitto mondiale, stavolta dai tedeschi, che di fatto requisiscono quasi tutti gli alberghi aponensi, insediando in particolare all’Orologio il comando dell’aeronautica.
Abano ha fatto intanto un primo salto di qualità già nel 1926, grazie a una legge che abolisce la gestione privata delle risorse termali e stabilisce un nuovo regime regolato dal sistema delle concessioni pubbliche, affidate all’Azienda di cura e soggiorno: le conseguenze si vedono rapidamente, considerando che cinque anni dopo di alberghi ne funzionano già una ventina.
Nel secondo dopoguerra, la pratica termale riceve un forte impulso dalle misure del sistema sanitario che garantiscono contributi per le cure: a fine anni Cinquanta, gli stabilimenti sono diventati 54, e man mano che il fenomeno si sviluppa, oltre a favorire un ampio indotto specie commerciale, viene crescendo una classe di imprenditori che fa decollare l’intero bacino, cui fanno capo anche Montegrotto, Battaglia e Galzignano.
Il dio Aponus può godersi, finalmente, la meritata pensione.
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