Addio al fondatore de «la Nuova Venezia» giornalista galantuomo

«Ifatti separati dalle opinioni». Dovrebbe essere l'abc del giornalismo: esprimi le tue opinioni, ma riferisci i fatti con scrupolo e correttezza, al servizio dei lettori. Una regola spesso ignorata che Lamberto Sechi, giornalista fondatore dei settimanali moderni e primo direttore della Nuova Venezia, aveva riscoperto e rilanciato come parola d'ordine. E che oggi vale quasi come un suo epitaffio. Sechi è morto ieri mattina a Venezia, dove abitava da qualche tempo e dove era molto conosciuto e stimato come direttore della Nuova. Aveva 89 anni. Una vita dedicata al giornalismo e alle sue regole: fatti separati dalle opinioni, ma anche rigore formale, sacralità della notizia. E prima di tutto, la cronaca. Era un direttore galantuomo, Lamberto Sechi. Non solo un maestro di giornalismo ma un collega da cui si imparava sempre qualcosa. Un uomo di stile, dalla conversazione piacevole anche quando ti riprendeva sull'acronimo «poco chiaro», la frase incomprensibile. «Scrivi per i lettori, non per gli addetti ai lavori», insegnava ai suoi giornalisti. Lamberto Sechi, nato a Parma nel 1922, lavora per Arnoldo Mondadori fin dagli anni Cinquanta. E' il fondatore di «Arianna», il primo mensile femminile moderno Poi va a dirigere Oggi, infine Panorama nel 1965. Trasforma il mensile formato lenzuolo diretto dal veneziano Nantas Salvalaggio in un agile settimanale «tabloid», introduce le rubriche di «gossip», rinnova il linguaggio. Sarà l'inizio di una grande rivoluzione allargata a tutti i settimanali italiani. Sechi è un «maestro» riconosciuto della professione. Alleva una generazione di giovani cronisti che poi diventeranno inviati affermati e stimati direttorei. Claudio Rinaldi, Giulio Anselmi, Chiara Beria, Claudio Sabelli Fioretti. Dopo gli anni passati a Milano e un successo editoriale senza precedenti, Sechi lascia Panorama nel 1979. Qualche anno dopo viene chiamato da Giorgio Mondadori per lanciare la nuova avventura dei giornali locali nel Veneto. C'è da inventare la Nuova Venezia, terza sorella dei Quotidiani veneti, dopo il mattino di Padova e la tribuna di Treviso. Avventura complicata, perché qui si gioca in casa del forte concorrente Gazzettino. Ma l'entusiasmo non manca, in quegli anni di crscita economica e culturale che precedono la caduta del Muro di Berlino. L'editore Mondadori, in società con il principe Carlo Caracciolo, si lancia nell'avventura. Il 18 settembre del 1984 nasce la Nuova, formato tabloid sulle orme di Repubblica e di giornali locali di successo del gruppo come il Tirreno di Livorno e la Nuova Sardegna, creature dell'amministratore-giornalista Mario Lenzi, anch'egli scomparso qualche mese fa. Tocca a Sechi lanciare il nuovo progetto editoriale. Il giornalista gentiluomo prende casa alla Giudecca, gira per le calli («Bisogna farsi vedere, ascoltare la gente», dice). Recluta il caporedattore centrale del Gazzettino Emanuele De Polo e una pattuglia di cronisti del giornale concorrente. Affida la cultura alla «coppia terribile» formata da Stefano Del Re e Sandro Meccoli, le province a Antonello Francica, le cronache a Tiziano Marson, Giovanni Stefani e Beppe Gioia. Anch'essi tutti diventati direttori o capiredattori. Il giornale parte bene, poi la concorrenza del Gazzettino si fa sentire. Anche per la scelta di concentrare tutti i settori, compresa la cronaca delle province e della terraferma, in centro storico. Arriva Paolo Ojetti, direttore indicato da Caracciolo, e Sechi va a dirigere l'Europeo. La sua impronta sul giornale però rimane. Una generazione di cronisti a cui il «maestro» ha insegnato piccoli grandi segreti della professione. E soprattutto l'umiltà di chi prima di spiegare la notizia ai lettori deve avvicinarsi alla realtà con l'occhio attento e la testa libera da pregiudizi. «I fatti separati dalle opinioni». Una frase divenuta slogan e simbolo del giornalismo di tipo «anglosassone». Per la decennale attività di giornalista e direttore Lamberto Sechi era stato insignito qualche anno fa del prenmio alla carriera dall'Ordine dei giornalisti. Numerosi ieri i messaggi di cordoglio giunti dalle più alte cariche dello Stato. «Un modernizatore della stampa italiana», lo ha definito il presidente del Senato Renato Schifani. «Si è sempre impegnato a promuovere il pluralismo dell'informazione», il commento del presidente della Camera Gianfranco Fini.
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