Amen, il pittore che fece impazzire Hollywood

PADOVA. Chissà cos'avrà pensato quel giorno a Caracas. Lui, che in patria, a Padova, era ben conosciuto come arguto illustratore e pittore di buona fama, lì inginocchiato per terra, su un marciapiede del centro, a disegnare con i gessetti colorati. Come un madonnaro girovago, tra i piedi della gente. Non cominciava bene il sogno sudamericano. Antonio Menegazzo da anni aveva scelto una firma che non era nemmeno uno pseudonimo, piuttosto un'abbreviazione condita della goliardia a lui tanto cara. Per tutti era Amen: solo un nome, non una filosofia. Quel giorno a Caracas non riuscì nemmeno a firmarlo, quel ritratto di Simon Bolivar fatto a gessetti tra i passanti: arrivò, con una carrozza a cavalli, la polizia, lo impacchettò per intralcio al traffico e lo sbattè in galera. Il sogno sudamericano diventavano quattro sordidi muri di cella. Su uno di questi Antonio rifece il ritratto di Bolivar, non si sa mai... E infatti lo nota il direttore del carcere, che lo libera e gli fa decorare casa sua. I gessetti tornano ad essere pennelli, in un amen Antonio da straniero incarcerato assurge ad artista preferito del dittatore Jimenez e dei maggiorenti di Caracas. Che mondo, il Sudamerica...
Antonio Menegazzo diventa el pintor ufficiale: dipinge edifici pubblici, alberghi di stato, saloni di rappresentanza, produce quadri anche per i privati: e sono immagini liriche, dove la fantasia incontra la malinconia. I carachegni impazziscono, è la fama.
Ma chi è Amen? Uno che più padovano non si può, che prima di quel volo sull'oceano era vissuto di Portello e piazzetta Pedrocchi, di ufficio del Genio Civile e di goliardia patavina. Con un viso che era un muso, tarchiato e socievole, dava e riceveva risate in un milieu che era sicuramente artistico e abbondantemente provinciale. Che in lui si nascondesse un eclettico eroe dei due mondi lo immaginavano in pochi, men che meno lui. Adesso che una sua antologica apre da venerdì (alle 18) al Museo Diocesano di Padova, si soffierà via la polvere che dal 1974, anno della morte, si era depositata sulla sua figura e la città scoprirà di avere, finalmente meno nascosto, un altro piccolo patrimonio d'arte tra le sue mura, e un'esistenza non insignificante da mettere nell'album.
La mostra è un soprassalto di coscienza, se volete più pedestramente un'operazione di recupero, in realtà si solleva il coperchio d'un baule che non meritava di restare in soffitta. Le novanta opere che abitano sotto le volte del Museo Diocesano sono state ritrovate con pazienza certosina e colpi di fortuna da Virginia Baradel, la curatrice, affiancata da Massimo Magagnin, erede del figlio di Menegazzo, e da Vanni Negriolli, che ha la libreria "Ai due Santi" ma soprattutto una passione mai sopita per Amen.
Classe 1892, Antonio è figlio di un messo comunale, nasce al Portello e ci vive la sua prima esistenza. Diventa geometra, ma il disegno tecnico non gli basta. Quando torna dal Carso, dopo la prima guerra mondiale, vive da impiegato in un ufficio del Genio Civile, ma vive di più come illustratore, tuffato nel mondo della goliardia, dei manifesti pubblicitari allora in gran voga, delle riviste satiriche. Cercava aria, il giovane Menegazzo, e la strada era quella delle caricature fulminanti, delle illustrazioni che strappavano il sorriso, dei papiri che diventavano quasi arte: la copertina di un numero storico di "Gratamelà", la rivista dei goliardi trasforma il monumento equestre del condottiero con un gran bevitore che brinda in groppa ad un Bo.... Amen fa il cartellonista (termine che gli resterà incollato fino alla morte: compare perfino nel suo epitaffio sul Gazzettino del 1974), ma intanto sperimenta, butta un occhio verso i futuristi, di sicuro sa disegnare tutto e tutti. Esce dall'ufficio e diventa anima del Cenacolo degli artisti voluto dal poeta e barista Bepi Missaglia, idem con la Taverna dei poeti: dipinge anche lì, come affresca il bar del Bo, covo della goliardia cittadina. È il dopoguerra della svolta, nel suo curriculum precedente tanti sberleffi e un solo ritratto di Mussolini con elmetto...
Si può ricominciare. Per Amen ricominciare vuol dire fare il pittore. Si chiude nella sua soffitta studio di fianco al Pedrocchi e riempie tele in silenzio. Poi esce con alcune mostre, la partecipazione a qualche premio, e si vede che è bravo. Bravo come gli altri, buona mano, ottima tecnica, ma in fondo poco distinguibile. Amen cerca la sua strada, torna di colpo alla fanciullezza, inventa dei personaggi ingenui che dietro la facilità di comprensione si immergono in paesaggi trasognati, oggi diremmo felliniani. Addio ufficio, adesso è solo un pittore, Tono Zancanaro lo loda, Padova gli vuole bene e lui scende dallo studio e si tuffa tra gli amici di sempre, allegria, bisbocce e fantasia. A sessant'anni prende quell'aereo per Caracas, deve decorare un night club. Resta senza soldi, e sappiamo come va a finire. Anzi, a ricominciare.
Perché il successo all'ombra di Jimenez è solo una tappa. Quando è all'apice della gloria, lo nota un gallerista di Los Angeles, Silvan Simone. Si apre un secondo improvviso Eldorado: mostra eclatante, con i divi di Hollywood che fanno la fila per comperare i suoi quadri. Cary Grant, Rock Hudson, John Wayne che gli diventa amico, Abbe Lane, Marilyn Maxwell, insomma mezza Hollywood se ne innamora. Le sue tele finiscono perfino nei film, abita in una villa a Beverly Hills, un'ereditiera si innamora di quella faccia da "portellato"... Anni d'oro. E lui che appena può scappa a Padova, che di notte nella sua stanza da sogno americano scrive lettere tutte in dialetto, dando corpo ad una nostalgia totale, profonda, insanabile. Macchè oro, a lui mancano le barzellette stupide, gli amici alla mano, le pacche sulle spalle, il fumo dei bar e tornare a casa cantando. Torna nel 1969, magari malato (in California l'hanno operato di un cancro ai polmoni), ma di nuovo, definitivamente padovano. La famiglia è rimasta a Caracas, ma lui ha il suo studio, la sua Padova, la sua ereditiera che trascina nelle combriccole in osteria. Muore al geriatrico, a 82 anni.
Rinasce con questa mostra, che è molte delle sue opere padovane (quelle americane sono rimaste là), ma è soprattutto il ritratto di un'esistenza specchio del "secolo breve". Raccolta anche in un dvd fatto molto bene da Diego Loreggian, che ci ha messo l'anima, quella di Amen.
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