Anche la casa diventa social Spazi e spese da condividere

Lo studio veneziano TAMassociati apripista in Italia per interventi di co-housing «A Villorba 12 famiglie vivono in un mini quartiere con funzioni in comune»
Di Vera Mantengoli

Il modello tradizionale di famiglia appartiene ormai al passato. Lo stesso vale per le abitazioni che sono in via di trasformazione. In una società fatta molto spesso di genitori separati con figli, adulti che non hanno un reddito sufficiente per acquistare casa, pensionati ancora attivi e anziani autosufficienti, l’idea di vivere insieme in un unico alloggio con spazi comuni per dividere le spese e farsi compagnia, è sempre più diffusa.

A confermare la crescente richiesta di informazioni sul social housing e co-housing è lo Studio TAMassociati che qualche giorno fa è stato ufficialmente nominato dal ministero dei Beni Culturali come curatore del Padiglione Italia per la prossima Biennale di Architettura di Alejandro Aravena, “Reporting from the Front”. Uno dei progetti portati a termine di recente dagli architetti veneziani Simone Sfriso, Raul Pantaleo e Massimo Lepore è proprio il complesso di co-housing di Villorba, in provincia di Treviso. Si parla di co-housing quando un gruppo di privati si mette insieme per condividere degli spazi. Oggi a Villorba 12 famiglie vivono in un eco-quartiere, ognuno nella propria casa, ma con alcuni strutture condivise come il parcheggio, gli orti e la casa comune, il cuore dell’intervento. Qui all’interno di uno stabile di 200 metri quadrati, c’è uno spazio per la falegnameria e per fare dei piccoli lavori di bricolage, una stanza per un piccolo asilo e una dove si può mangiare insieme. L’impianto è a pellet utilizzando la bio massa, più viene usato un campo solare termico e uno fotovoltaico. Oltre a essere sostenibile, a lungo andare risulta decisamente più economico.

«Nel 2011» raccontano gli architetti «abbiamo lanciato un progetto di co-housing alla Fiera Quattro Passi nel Parco di Sant’Artemio di Treviso, promossa dalla cooperativa Pace e Sviluppo. Un gruppo di privati si è dimostrato molto interessato e abbiamo iniziato a trovarci insieme, a pensare cosa volevano condividere a realizzare il progetto che è concluso da poco e che rimane uno dei pochi in Italia».

Se il co-housing riguarda soprattutto l’iniziativa di privati di auto organizzarsi, il social housing invece potrebbe interessare anche il settore pubblico. «La nostra società» proseguono «come spiega bene Zygmunt Bauman, è una società liquida. I modelli tradizionali di famiglia si sono polverizzati. Nel Nord Europa questo fenomeno si è già sperimentato e parlare di social housing è ormai di uso quotidiano, mentre qui se ne inizia a parlare adesso, con sempre maggiore richiesta». In questo caso anche le amministrazioni potrebbero ricavare un profitto se investissero più soldi in questo tipo di progetti, in particolare a Venezia dove molti palazzi sono abbandonati.

«Oggi i pensionati sono ancora attivi» spiegano «e molti anziani autosufficienti. Per non parlare poi della quantità di lavoratori che hanno un reddito medio che non permette loro di accedere ai bandi per l’assegnazione di case comunali, ma neppure di farsi un mutuo per comprarsi una casa. Sono situazioni sempre più presenti e rappresentano il futuro immediato con il quale ci stiamo confrontando».

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