Arrestati in tredici, i padovani sono tre

Indagine partita da una telefonata del veneziano Biancato a Pasquale Sarcina, elemento di spicco della malavita calabrese
PD 24 gennaio 2006 G.M. Caroprezzi al mercato in piazza (CARRAI) Caroprezzi al mercato in piazza - Carrai
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Solo Felice Maniero, a capo della banda della Riviera del Brenta, trattava affari alla pari con i boss di Cosa Nostra e della Camorra e quando i carabinieri del Ros di Padova hanno ascoltato le telefonate di Luigi Biancato di Camponogara (Ve), che nel frattempo è deceduto nel 2011 a 56 anni per malattia, hanno capito che c’era chi, a più di dieci anni di distanza da Faccia d’Angelo, poteva telefonare al milanese Pasquale Sarcina, elemento di spicco della ’ndrangheta nel capoluogo lombardo già condannato a dieci anni per associazione di stampo mafioso. Chiamata intercettata in cui Biancato, fratello dell’arrestato Prosdocimo, piuttosto seccato impone ai calabresi di venire a ritirare in un capannone della zona industriale di Padova 300 chili di hashish di qualità scadente.

E Sarcina chiama subito i suoi referenti, a cominciare dal calabrese Salvatore Larosa, sistemato in Costa Azzurra a Mentone da dove dirige le triangolazioni di droga tra Spagna, Francia e Italia, e gli spiega che Biancato è davvero arrabbiato e che quei 300 chili vanno sostituiti. È una delle scoperte dell’operazione “Zefiro” dei carabinieri del Ros e di quelli veneziani, coordinata dal pubblico ministero antimafia Rita Ugolini: tredici gli arrestati, per altri tre l’obbligo di dimora, per la maggior parte si tratta di calabresi trapiantati in Veneto e Lombardia e di veneti, alcuni dei quali con precedenti per droga o rapine.

I padovani arrestati sono Bruno Cainero, 45 anni, di Piove di Sacco, Luca Livieri, 50, di Vigonza, Silvano Valentini, 41 di Padova. Obbligo di dimora per Roberto Lazzaretto, 46 anni, di Albignasego, Elisabetta Monica Turato, 50 di Saccolongo.

L’altra scoperta inquietante, oltre a quella che tra le pieghe della criminalità straniera nel Veneto è cresciuta anche un’autorevole banda autoctona, è che la ’ndrangheta, dopo Verona, sta mettendo radici anche in provincia di Venezia, Padova e Treviso. Sono le cosche jonico reggine dei Nirta e degli Strangio, gli stessi della strage di Duisburg in Germania. Era Vincenzo Sorace, calabrese trapiantato da anni a Silea (Tv), l’elemento di contatto tra i veneti che acquistavano enormi quantità di sostanza stupefacente e i calabresi della famiglia che comandava a Milano. Sorace utilizzava un nome di copertura, Rocco Barile, con il quale nella Marca avrebbe messo a segno numerose truffe con assegni scoperti.

Le indagini dei carabinieri veneziani hanno messo poi in moto quelli del Ros di Padova, che in collegamento con le autorità di polizia francesi e spagnole hanno bloccato una banda che trasferiva in Italia consistenti partire di droga soprattutto via mare. Grazie alle segnalazioni degli investigatori italiani, gli spagnoli hanno bloccato un potente motoscafo che trasportava i 700 chili di hashish: era partito da Orano, in Marocco e avrebbe dovuto raggiungere Mentone per poi fermarsi a Sanremo a scaricare. Ma i carabinieri monitoravano l’imbarcazione dal momento in cui è stato acquistata da Mauro Lecci, residente a Bercellona ed elemento di raccordo della ’ndrangheta e arrestato in Spagna.

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