Attraverso le generazioni il rock italiano è Blasco

Ha conquistato gli studenti dei primi anni Ottanta e gli adolescenti di oggi. Il produttore Buzzanca: «Ognuno a modo suo si ritrova nelle sue parole»
Vasco Rossi in una foto postata su Facebook con un messaggio per l'ultimo giorno dell'anno. ANSA/ FACEBOOK ++HO NO SALES EDITORIAL USE ONLY++
Vasco Rossi in una foto postata su Facebook con un messaggio per l'ultimo giorno dell'anno. ANSA/ FACEBOOK ++HO NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

PADOVA. Al liceo si faceva un gioco, nelle ore di lezione più noiose. Noi del liceo classico, con la passione per la scrittura e la smania di voler mettere sempre nero su bianco le emozioni dell’adolescenza, ci passavamo bigliettini con brevi frasi tratte dalle canzone che più ci piacevano. Tra queste, moltissime erano di Vasco Rossi.

Chi riceveva questi bigliettini doveva continuare la canzone, ed era raro che non si arrivasse a citare fino all’ultima parola. Come a dire: tra Sofocle e Cesare anche il rocker di “Vita spericolata” (dall’album ‘Bollicine’, 1983) trovava un suo degno posto.

Erano gli ultimi scampoli degli anni Ottanta e “Liberi Liberi” (1989) è stata la canzone di quell’estate: magnifica e profonda, con un sax che la rendeva leggera ed epica ad un tempo. C’è chi ha smesso di ascoltare il cantante di Zocca proprio in quegli anni: non per disamore, quanto perché la genuinità della sua vena poetica, chiara e immediata nei primi decenni, a molti sembrava si fosse spenta. Non così, com’è naturale che sia, per i fan dell’ultima ora, che hanno conosciuto un Vasco già “grande”, e che mettono nella loro personale classifica brani come “Siamo soli” (2001) o “Eh… già” (da “Vivere o niente”, 2011).

Sara, 23 anni, è cresciuta con le sue canzoni, tanto amate dalla mamma da renderle colonna sonora della vita in famiglia: e infatti è con lei che si è vista già tre concerti, a Torino, Milano e, tra poco, anche Padova. Di fronte a pezzi come “Albachiara” (da “Non siamo mica gli americani”, 1979) s’innalza un coro di consensi: persino Giulia, che di anni ne ha appena fatti 14 e che di Vasco sa giusto che è un cantante, la conosce bene e sa che dietro “c’è una storia particolare”. Ecco, forse la chiave di 38 anni di carriera sta proprio qui: nel raccontare delle storie, e pazienza se poi la voce è ruvida e imperfetta, l’importante è che arrivino, che si facciano musica e sentimento. Perché Vasco è sempre riuscito a parlare senza filtri, e alcuni suoi pezzi sono proprio questo: un dialogo che poi si è fatto canzone, come dice Daniela, quarant’anni, parlando di “Anima fragile” (da “Colpa d’Alfredo”, 1980) ma anche di “Va bè (se proprio te lo devo dire)”, scanzonata dichiarazione al contrario alla donna di turno.

Dai vinili e dalle musicassette (sì, quelle che si potevano riavvolgere anche con la biro) alla musica digitale, il cantautore emiliano ha pubblicato 60 album (per giocare con i numeri: quasi uno per ogni anno di vita – ne ha compiuti 63 a febbraio), di cui nove live.

E il Blasco, dal vivo, non è mai scontato o uguale a sé stesso: visto un paio di volte, durante lo stesso tour, riesce a proporre ad ogni concerto un’esperienza diversa, in base al suo umore e all’energia che gli arriva dal pubblico. Di certo c’è un’unica cosa: che lui gli stadi li riempie, sempre. Il pensiero che il signor Rossi stia attraversando un momento di stanca creativa ci sta: dalla bandana all’occhiale da lettura, il fegato, buon per lui, non è più spappolato e il cuore forse è un po’ più tranquillo.

«Tutti i cantautori tendono a replicare lo stesso modello compositivo, vedi De Gregori o Venditti», commenta Matteo Buzzanca, musicista e produttore padovano, autore, tra le tante, delle musiche dell’ultimo brano di Malika Ayane, “Senza fare sul serio”. «Bisogna vedere se ripetendosi vengono comunque fuori dei momenti felici. Probabilmente Vasco ne ha avuti meno di altri, negli ultimi tempi. Più di chiunque però è stato in grado di interpretare l’outsider, il perdente. E infatti ai suoi concerti si incontrano persone di diversa età, estrazione sociale e culturale. Ognuno, a modo suo, trova se stesso nei suoi racconti, facendo proprie le sue parole». E facendo proprio anche il suo ultimo disco: uscito nel 2014, “Sono innocente” ha superato lo scorso anno le 180mila copie, battendo mostri sacri come i Pink Floyd. Un triplo disco di platino che ci fa dire, ancora una volta: il rock, in Italia, si chiama Vasco.

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