Ben Harper e i Criminals, la reunion è qui
PADOVA. Tra l’Italia e Ben Harper è stato amore a prima vista. Succedeva vent’anni fa, ad Arezzo Wave. Da allora il cantautore californiano non ha mai saltato un giro: tutti i suoi tour sono passati da qui. E non poteva fare eccezione la reunion con gli Innocent Criminals, la band a cui il 45enne di Claremont è più legato, la più amata dai suoi fan. Quella del bassista Juan Nelson - ovazioni per lui, in ogni concerto - del percussionista Leon Mobley, del batterista Oliver Charles, del tastierista Jason Yates e del chitarrista Michael Ward. La band, fino a ieri in Svizzera, comincia oggi da Piazzola sul Brenta, Hydrogen Festival (biglietti ancora disponibili), un mini-tour di quattro date in Italia. Del quale Ben Harper è entusiasta.
Com’è nata e da chi l’idea di una reunion con gli Innocent Criminals? E com’è stato ritrovarsi dopo sette anni?
«In effetti tutti noi della band avevamo espresso individualmente e collettivamente il desiderio di tornare insieme. Avevamo la sensazione di essere cresciuti a livello personale e creativo e che fossimo pronti a esprimere questa crescita in musica».
Cosa possono aspettarsi i vostri fans da questo ritorno insieme a livello di suono?
«Le vecchie canzoni non hanno mai suonato così bene e il nuovo disco contiene alcuni tra i pezzi più originali che abbiamo mai fatto. Il tempo ci darà le risposte, ma se in qualche modo non sapessi che cosa stai facendo, non lo faresti affatto».
Dopo Give till it's gone, che è stato un lavoro molto intimo e legato a una particolare fase della sua vita, come sarà il prossimo album e quando uscirà?
«Sono sicuro che ci siano fasi. E tuttavia ogni giorno è una fase, che si accumula e diventa un anno, quindi anni e poi magari, se sei fortunato, un’era. Io faccio solo album intimi, non so fare nient’altro, ma anche se un album è intimo non significa che tutte le frasi che contiene riguardino me o quel momento della mia vita. Detto questo, se un cantautore non fa canzoni che suonano intime, indipendentemente dal fatto che parlino di sé, non sta facendo un buon lavoro. L'album verrà pubblicato ai primi di aprile del 2016 e sarà un incrocio tra ciò che in passato siamo stati come band e altre cose totalmente nuove: luoghi in cui siamo stati prima e luoghi in cui ci stiamo preparando ad andare e in cui non siamo mai stati. Il suono è quello di un gruppo di musicisti che si conoscono e si fidano l'uno dell'altro come fratelli».
Intanto alle spalle ha già 25 anni di carriera. Che effetto le fa guardarsi indietro e come pensa di essere cresciuto?
«È una sensazione strana, rendersi improvvisamente conto di essere quello che suona da 25 anni. Non mi guardo molto indietro e non intendo farlo, non ancora almeno. Ci sarà un momento per farlo, ma quel momento non è ancora arrivato. Tutto è ancora troppo nuovo, c'è ancora troppo margine di crescita per rischiare di rompersi l'osso del collo sporgendosi a guardare fuori dal finestrino quello che è rimasto alle spalle. C’è troppo da dire, troppo da imparare, troppo da scrivere, troppo da dare e ricevere, lavoro da fare, skateboard da usare e far volare in aria, cemento su cui cadere. Spero di essere cresciuto abbastanza da meritare almeno la metà delle cose che ho e dare via il resto».
Il pubblico italiano è sempre stato molto caldo nei suoi confronti...
«L’Italia è uno dei paesi più belli del pianeta in cui andare. Forse mi ci trasferirò per guardarmi indietro, un giorno».
Lei passa per essere anche uno molto curioso dei posti dove suona. Cos’ha scoperto di bello nel nostro paese?
«Sono piacevolmente colpito da Papa Francesco e dalla sua visione del mondo. È l’Italia è uno di quei rari posti in cui potrei vivere felice e non andare mai via».
E a livello musicale, cosa ha scoperto di bello recentemente?
«Ultimamente ho ascoltato parecchio la band “City and colour”, al momento fanno la mia musica preferita e Dallas Green è un mio amico».
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