Bitonci, prima sconfitta amara: "Colpa dei traditori"

Il leghista non aveva mai perso: "Ma ora c'è una città spaccata" 

PADOVA. “Senza paura”. Lo slogan su due righe, tutto maiuscolo, si dissolve nel silenzio dopo aver gridato per mesi il suo messaggio contro un terrore più auspicato che reale. I volantini rimasti nel ripostiglio della sede all’Arcella, inutili già ieri, in poche ore saranno elevati a cimeli di questa campagna elettorale.

Da due settimane Massimo Bitonci aveva capito molto o forse tutto. E di paura ne aveva parecchia. Quella secca al primo turno per lui era l’unica vittoria possibile, il resto è stato solo un crescendo di fantasmi evocati e di scenari terrificanti disegnati in bianco e nero.

Era una città senza, quella proposta dall’ex sindaco di tutti: senza altre caserme per i profughi, senza case popolari occupate e piene di immigrati, senza i comunisti e la Ruffini, senza i centri sociali, senza gli antagonisti, senza Zanonato. E ancora senza spacciatori (“Un arresto al giorno”, la sua promessa surreale), senza reati (sic), senza traffico (boom). Perfino – in extremis – senza l’obbligo di vaccini.

Un pezzo dopo l’altro, è rimasto solo il totem dell’ospedale da costruire, fuori da una città condannata a ritrovarsi senza gioia, senza idee, senza prospettive e senza un futuro bello, o almeno degno di essere immaginato.

Alla fine è rimasto lui, con un buco intorno e troppi nemici alle spalle. E il voto è diventato un referendum pro o contro. L’hanno sostenuto comunque in 44 mila e 488, prigionieri della paura – altro che senza – ma quegli altri, sul versante opposto della barricata, erano di più e di paura non volevano averne. Hanno acceso le luci e visto in faccia il bluff.

A Massimo Bitonci da Cittadella la storia riconoscerà di aver combattuto come un leone e di aver tenuto viva la battaglia quasi da solo, con quel manipolo di leghisti più o meno valorosi che si trascina da un pezzo, con gli avanzi di Forza Italia, con quei soldatini devoti – pensate alla Mosco, alla Sodero – pronti a immolarsi come se non ci fosse un domani. E, in vista del traguardo, perfino con le truppe impalpabili di Sposato, fatte salire a bordo del carro armato nonostante un programma elettorale totalmente inconciliabile con quello dell’ex sindaco.

Il giorno di quello strano apparentamento è stato chiaro che ogni voto sarebbe servito, ma anche che il distacco da Giordani-Lorenzoni – a meno di un crollo del numero dei votanti – sarebbe stato incolmabile. Il ballottaggio di ieri, senza un calo sensibile dell’affluenza, l’ha certificato dopo appena 13 sezioni scrutinate, quando il distacco tra i due candidati si è cristallizzato. Non ampio ma solido. E per Bitonci è arrivata la prima sconfitta. Mai si era dovuto presentare alla sua gente per dire che «dispiace, però si va avanti comunque». Aveva vinto a Cittadella, era stato eletto alla Camera e al Senato e poi aveva vinto ancora a Padova. Stavolta deve ripiegare e fare un po’ di conti, anche con se stesso.


La dichiarazione di resa arriva a metà scrutinio, intorno a mezzanotte. Bitonci ammette che «il distacco è incolmabile, anche perché loro sono stati bravi a sommare perfettamente i voti di Giordani e Lorenzoni», fa gli auguri al nuovo sindaco, dice che «sette mesi e mezzo di campagna elettorale sono stati troppo lunghi», che «votare a giugno può essere stato penalizzante» e che «il messaggio elettorale non è stato capito».

Il fair play, se c’è, finisce qui. Infatti sfida subito gli avversari: «Voglio vedere se una coalizione che va dal centrodestra alla sinistra è in grado di stare insieme». Assicura che farà opposizione, «perché io porto a termine gli impegni». Ma quando un quarto d’ora dopo si affaccia alla porta della sede per parlare con la sua gente, è già di nuovo un soldato in trincea, che sente di esistere solo con i nemici intorno.

C’è certa stampa, il mattino in testa, che «mi ha riservato solo attacchi personali per tre anni». E naturalmente ci sono i traditori, quelli del golpe di novembre: «Allora avevamo un consenso ampio».

I suoi lo acclamano, commentano con insulti coloriti ogni passaggio sui nemici. Il clima si scalda. «La città è spaccata», dice lui. «La periferia è con noi, ma i centro non siamo andati bene. Giordani è stato eletto con sponsor forti, molto presto sapremo chi». E ancora: «Adesso aspettiamoci che cambino subito il regolamento per assegnare le case popolari», insiste. Come se oggi fosse l’altro ieri. Come se invece stavolta non fosse davvero finita.
 

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