Borile, sul mito Scrambler è sfida legale con Ducati

Nel 2010 l’accordo che dà l’ok ai padovani per la riedizione della famosa moto Ma dopo la cessione dei bolognesi all’Audi gli emiliani decidono di fare da soli
Di Matteo Marian

L’azienda artigianale nata sui Colli Euganei e diventata un’icona del “fatto a mano” contro il simbolo del motociclismo italiano oggi controllato da Audi (gruppo Volkswagen). Ovvero Borile contro Ducati, impegnate in un braccio di ferro sul progetto Scrambler (la riedizione di un modello degli anni Settanta che ha fatto la storia della casa motociclistica bolognese) che è già arrivato in tribunale.

Il caso. Tutto nasce nel 2010, quando Umberto Borile, il fondatore del marchio padovano, propone a Gabriele Del Torchio, allora a.d. Ducati, il progetto di produrre una riedizione della Scrambler Ducati. Il gruppo bolognese approva il progetto, concede alla Borile l’utilizzo del marchio Scrambler e sigla un accordo di fornitura (teste e cilindro del motore Monster 1.100) con Bologna. Tra il 2011 e il 2012 Borile alza il sipario sul prototipo a Milano, al salone Eicma, riscuotendo notevole interesse. A marzo 2013, poi, Borile presenta ai vertici Ducati la prima Scrambler in versione definitiva. Nel frattempo, però, Ducati viene acquisita da Audi.

La svolta. «Da lì in poi i rapporti si fanno difficili» racconta Alberto Bassi, a.d. Borile. «Nessuno ci dice più nulla e a ottobre del 2014 la casa bolognese presenta in Germania la sua nuova Scrambler. In questo progetto noi abbiamo investito qualche centinaia di migliaia di euro. Non abbiamo mai accusato Ducati di aver copiato la nostra Scrambler, ma piuttosto di averci arrecato un consistente danno economico, prima concedendoci di realizzare questo progetto e poi decidendo di lanciare la propria Scrambler». Ducati, dicono in Borile, ha taciuto per due anni a fronte di una montagna di articoli che in Italia e all’estero celebravano il ritorno della Scrambler. Poi, visto il successo dell’intuizione di Borile, ha deciso di lanciare un suo progetto ignorando gli impegni assunti «impedendoci così da quel momento di avere un mercato per la nostra moto».

La causa. Per sostenere le sue ragioni Borile pubblica il video di presentazione della Scrambler ai vertici Ducati. Gli emiliani accusano il colpo e portano in tribunale Borile chiedendo l’inibizione della diffusione del video. Il giudice dà ragione ai bolognesi e intima a Borile di non diffondere il video condannandola al pagamento delle spese legali. Borile si adegua alla sentenza ma non ci sta. Da qui la decisione di dare il via a una importante campagna pubblicitaria per ristabilire la verità. E non solo, visto che dal quartier generale di Borile annunciano: «Il progetto continua, stiamo finendo di studiare un nuovo motore monocilindrico e andiamo avanti ritenendo opportuno rispondere ad affermazioni non corrette di Ducati. Non ci facciamo intimidire dalle loro azioni legali».

La lettera. Umberto Borile è un uomo abituato alle sfide difficili. Imprenditoriali, senza dubbio, per non parlare di quelle che gli ha riservato la vita con la tragica morte del figlio (nel 2009) a soli 19 anni. Qui si discute di altro, di affari e di moto. «Noi non facciamo moto per arricchirci ma per passione, a me non è il marketing a dirmi cosa fare, ma il mio cuore» spiega Borile in una lettera aperta inviata a Claudio Domenicali, attuale a.d. Ducati. «Mi creda, nel corso della mia esistenza mi sono trovato a fare i conti con la più malvagia delle sorti che un uomo, un padre, possa sopportare. Tutto quello che succede ora non mi sfiora neppure. Però le cattiverie non riesco a capirle». Ed è per questo che Bassi annuncia che la sentenza del tribunale di Bologna non sarà l’ultima.

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