Botte al detenuto suicida Due Palazzi, otto indagati

Giovanni Pucci voleva uscire dal giro e prima di farla finita ha vuotato il sacco Nei guai due guardie e sei carcerati già coinvolti nell’inchiesta “Apache”
Di Carlo Bellotto

Inchiesta bis sul carcere di Padova dopo i due suicidi. Indagati per concorso in concussione due agenti di Polizia Penitenziaria e sei detenuti (già nei guai per la precedente inchiesta sui favori ai carcerati in cambio di soldi).

Tutto nasce dalla dichiarazioni rese al magistrato Sergio Dini, il giorno prima di suicidarsi nella sua cella (il 25 luglio scorso) dal detenuto Giovanni Pucci, 44 anni, elettricista di Castrignano de’ Greci (Lecce). Pucci, una condanna per omicidio sulle spalle, portava il cibo ai “colleghi” detenuti da un piano all’altro. Secondo gli investigatori era usato dalla cricca malavitosa di guardie corrotte per consegnare, senza dare nell’occhio, sim card per cellulari, droga e quant’altro. Poche ore prima di farla finita, l’uomo ha raccontato al pubblico ministero che voleva uscire da quel giro facendo nomi e cognomi degli odierni indagati. E, circa un anno fa, per questa sua volontà di non prestarsi più a tale attività illegale - ha riferito - era stato picchiato a sangue dentro le mura del Due Palazzi da altri detenuti, su mandato delle guardie. Durante l’interrogatorio Pucci era parso molto teso, non reggeva più quel clima pesante all’interno del penitenziario. Non aveva però chiesto il trasferimento lontano da Padova, visto che aveva la moglie nel Padovano. L’indagine è solo agli inizi. L’accusa agli 8 tra agenti e detenuti di concorso in corruzione è motivata dal fatto che avrebbero obbligato qualcuno a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio.

Guardie corrotte dai boss

L’8 luglio scorso scatta l’operazione Apache che fa finire agli arresti sei agenti della Penitenziaria. Gli inquirenti scoprono che dentro le celle arrivava di tutto, dai telefonini alle sim card, dalla droga, ai film porno. Bastava pagare le guardie che si avvalevano della collaborazione di detenuti compiacenti. L’operazione era partita in agosto durante un banale controllo ad un pusher marocchino: si scoprì che uno degli acquirenti è un agente della polizia penitenziaria. Scattano altri accertamenti e viene alla luce un “sistema” che trasformava il Due Palazzi in una sorta di hotel di lusso per i detenuti più abbienti. Si poteva ordinare di tutto, dalla cocaina al cellulare con traffico illimitato. I parenti del detenuto, secondo gli inquirenti, pagavano le guardie. In particolare a tirare le fila c’era Pietro Rega, 47 anni, residente a Mirano, assistente capo della polizia penitenziaria, il responsabile del quinto piano della Casa di reclusione era lui la mente dell’operazione. Quindici persone arrestate: sette in carcere e otto agli arresti domiciliari (di questi sono sei gli agenti della Penitenziaria, due in cella e quattro ai domiciliari); trentadue le perquisizioni, nove delle quali ad agenti carcerari. A vario titolo devono rispondere di concorso in corruzione aggravata e traffico di droga.

Il suicidio dell’agente

L’11 agosto scorso si è suicidata una seconda persona coinvolta nell’inchiesta Apache: Paolo Giordano, quarantenne originario di Cassino, spacciava filmini hot (oltre a droga) ai detenuti del carcere Due Palazzi dove lavorava come agente. Si trovava agli arresti domiciliari e l’11 agosto avrebbe dovuto incontrare il suo nuovo avvocato. Verso mezzogiorno l’hanno trovato privo di vita nel suo alloggio di servizio vicino alla casa di reclusione: riverso in una pozza di sangue, gola e polsi tagliati. Giordano oltreché far arrivare in carcere eroina, metadone, e subutex (un oppiaceo), droghe che assumeva, distribuiva filmini hard realizzati “in casa”. Ha raccontato un detenuto: «Offriva la droga in cambio di danaro oppure, se avevi un contatto esterno, andava a ritirarla e ne teneva per sé la metà».

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