Botteghe, osterie e bar della tradizione: l’epopea patavina rivive in bianco e nero

Padova. Dalla pubblicità dell’Aperol alla Itala Pilsen, dalle torrefazioni alle “macchiette” sino ai “gallinari”, un mondo scomparso

PADOVA. Cose di un altro secolo; ma di cui un peraltro sparuto drappello di superstiti conserva ancora il ricordo. Con un catalizzatore del calibro del sistema Salone-piazze, il centro di Padova acquista una vitalità senza pari, che esplode in particolare con l’inizio del Novecento: già nel 1909 figurano una cinquantina di possessori di automobili, prodigio scoperto pochi anni prima proprio in città da un ingegnoso professore universitario, Enrico Bernardi, e poi scippato dalla dinasty degli Agnelli.



La città sfiora gli 83mila abitanti, seconda in Veneto solo a Venezia, e vive a tempo pieno: il riposo domenicale è una conquista di là da venire, uffici e officine sono aperti pure al sabato, i turni di riposo per le botteghe sono ancora da inventare.

Solo i barbieri godono del lusso di chiudere al lunedì; per il resto, il diurno Cobianchi di piazza Cavour è un macinatore seriale di “barba & capelli”.

Andare in centro per fare acquisti è un rito obbligato anche per “quelli di fuori”, provincia ma pure da altre aree della regione. Draghi-Randi e Zannoni sono la mecca dei bibliofili, Menato e Valle degli sportivi, Testi dei genitori che devono regalare giocattoli ai figli, Corradini e Canto delle donne di casa in cerca di tessuti, Prosdocimi di chi è appassionato di cartoleria: dalle penne fuoriserie alle semplici matite, incluse le scatolette di colori a uso scolastico con l’epica scritta “Se nel disegno vuoi prender 8, matite Fila pastelli Giotto”.

La pubblicità cavalca i primordi del consumismo con slogan decisamente fantasiosi. A partire dai padovani fratelli Barbieri, che lanciano sul mercato l’indovinatissimo “Aperol” con toni decisamente lirici: “Attendi la sera per lodare un bel giorno – attendi la morte per lodare una bella vita – non attendere per assaggiare l’APEROL Barbieri, lo squisito aperitivo”. Anche sui prodotti più prosaici l’ispirazione non vien meno: come dimostra l’azienda di Edoardo Pessi, che propaganda le proprie creme per calzature con un’immagine di un poderoso stivale e la scritta: “Tutta l’Europa lustra lo stivale usando un prodotto nazionale – TAOS”.

La zona industriale in periferia arriverà decenni dopo. Le fabbriche sono innervate nel tessuto cittadino, e non solo nell’area della Stanga tipo Oms e Viscosa, ma anche in pieno centro: l’Itala Pilsen produce la sua birra in via Calatafimi, dietro l’allora piazza Spalato; e funzionano una serie di torrefazioni di caffè, da Vescovi a Cesarin, da Breda a Dubbini.

Ma ci sono pure produzioni più artigianali anche se non meno richieste: lungo le riviere, ancora non detrupate dal tombinamento dei canali, echeggia il rumore dei “battibaccalà”, che frollano il pesce a colpi di martello di legno. Per chi deve far quadrare il pranzo con la cena, il mercatino della Scavezzà in piazza Capitaniato offre un salvagente per il portafogli.

In centro si viene comunque anche per compiacere la gola: sono molto “in” ristoranti come lo storico “Isola di Caprera”, o come il non meno rinomato “Zaramella”, che nasce come “Osteria Nuova” per poi riciclarsi come “albergo-trattoria-birraria (sic!)-stallaggio”. Più a buon mercato, ma non meno gettonato, il “Nuovo Vapore”, il cui cuoco vince una scommessa con i clienti fedeli, riuscendo a sfornare per un anno un risotto ogni giorno diverso.

Affollatissimi pure i bar del centro, con autentici “aficionados” per Graziati, Brigenti, Racca. Missaglia diventa il riferimento per gli intellettuali ma anche per il popolino, soprattutto perché apre la prima ricevitoria dell’allora Sisal, poi Totocalcio.

L’osteria ai Trani, a ridosso delle piazze, è una sorta di porto di mare: dove nelle prime ore del mattino gli operai che arrivano in bicicletta dalla campagna e si fermano per farsi una marsalina, si incrociano con i “gallinari”, i ladri di galline che smontano dal turno di notte e si scolano un goccio prima del meritato riposo.

A quel mondo appartengono a pieno titolo le “macchiette”: figure tipiche che oggi qualche sindaco con smanie da sceriffo multerebbe per oltraggio al pubblico decoro; ma alle quali i padovani di allora volevano indistintamente bene. Nino, “Corni”, la Gaetana, la contessa Baccalà… naufraghi di un passato sul filo del rimpianto.


 

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