Cacciari: «Con Papa Francesco finisce l’epoca della Chiesa d’Europa»

VENEZIA. Finis Europae. «Il nuovo Papa rappresenta un grande segno di svolta, di cambiamento epocale: la Chiesa guarda al Terzo Mondo e la marginalità politica dell’Europa è ormai evidente». Massimo Cacciari c’era andato vicino. «Scelga un nome da povero», aveva auspicato qualche giorno fa. Pensava a San Francesco, al suo ultimo libro sul poverello di Assisi. Francesco che predica il vangelo nelle strade e segue un ideale di povertà e di preghiera, esprime la sua nausea verso «avidità, cupidigia e orgoglio». «Stavolta l’ho azzeccata», sorride il filosofo.
Il nome del nuovo Papa, Francesco, segna già una svolta.
«Certo, è un segno fortissimo. È il primo papa che sceglie di chiamarsi Francesco. Nemmeno i papi francescani l’avevano mai fatto. Il santo di Assisi è l’imitatore di Cristo, l’unico santo stigmatizzato. Era come chiamarsi Gesù».
Adesso è successo.
«Un segno di coraggioso rispetto e una svolta epocale. Un gesto simbolo come le dimissioni di Ratzinger. Si chiede alla Chiesa di essere prova e di cambiare strada».
Il nuovo Papa piace.
«Non lo conosco. Come molti prelati sudamericani ha due aspetti in qualche modo contrapposti: grande apertura nelle questioni sociali, rigidità sulle questioni teologiche ed etiche. Non è un fine intellettuale e un teologo, ma un pastore».
È una sconfitta per la Chiesa italiana?
«Direi più per la Curia romana che per la chiesa italiana. La sua elezione segna senza dubbio la difficoltà e il crollo di immagine delle gerarchie vaticane dopo gli ultimi scandali. Questo ha sicuramente influenzato. Ma forse sarebbe andata così lo stesso».
Che significa?
«Dopo le nomine recenti fatte da Wojtyla e Ratzinger, nel Conclave si è creata di fatto una maggioranza «extracomunitaria». Assistiamo a uno spostamento dell’asse centrale della Chiesa. Una svolta epocale, un segno della marginalità politica dell’Europa. Bisogna riflettere su questa prospettiva ormai avviata».
Un messaggio di vicinanza ai poveri.
«Netto ed evidente. Francesco è anche forse il segnale dell’alleanza tra lui e le altre chiese, il cappuccino di Boston, i vescovi del terzo Mondo. Il Papa dovrà comunque avere anche la capacità di dialogare con le società secolarizzate dell’Occidente, gli Stati Uniti e l’Europa. Doti che forse avevano di più Ratzinger, Scola, Ravasi, Schombrun».
Per Scola è una sconfitta? È entrato papa ed è uscito cardinale.
«No. Scola è entrato al Conclave con un grande prestigio, ne é uscito con un prestigio immutato. Resta lui il punto di riferimento della Chiesa in Italia».
La Chiesa può insegnare qualcosa alla politica in queste ore di grandi incertezze?
«Sono due pianeti diversi, e non fanno parte nemmeno dello stesso sistema solare. La Chiesa non è democratica, ha riti che resistono da mille anni. E poi ha processi di selezione reali della sua classe dirigente. Non si diventa vescovi per caso, non basta urlare per la strada per essere nominati».
La Chiesa resiste e supera secolarizzazione e scandali.
«Resiste da mille anni perché è un mix di grande forza politica e forma iniziatica. Una rappresentazione antica densa di simboli e di gesti».
La politica, invece?
«Non facciamo paragoni. Certo è che della politica non abbiamo alcuna rappresentazione a parte le urla e i comici. Ed è saltata ogni selezione della classe dirigente».
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