È morto Aldo Agroppi. Allenò il Padova per tre mesi, poi la fuga per depressione

Si è spento il 2 gennaio a Piombino, dove era nato. Aveva 80 anni. Una vita da calciatore prima, da allenatore poi, e infine da commentatore televisivo. Un uomo fuori dagli schemi

Stefano Edel
Aldo Agroppi mentre allena il Padova
Aldo Agroppi mentre allena il Padova

Se n'è andato il 2 gennaio in una stanza della terapia intensiva dell'ospedale di Piombino, la città in cui era nato il 14 aprile 1944, colpito da una polmonite bilaterale che lo aveva profondamente debilitato.

Aveva 80 anni, Aldo Agroppi, una vita da calciatore prima, da allenatore poi, e infine da commentatore televisivo. Mediano da combattimento, ha legato i suoi anni più significativi al Torino, con cui ha vinto due Coppe Italia, collezionato 212 partite ufficiali e segnato 15 reti in 8 stagioni, dal 1967 al 1975.

Prima e dopo ha indossato le casacche di Piombino, Genoa, Ternana, Potenza e Perugia, dove ha chiuso la carriera di giocatore, per iniziare nel 1978, con le giovanili del Grifone umbro, quella di tecnico.

Vestì anche la maglia della Nazionale, raggiungendo le 5 presenze in azzurro. In panchina la grande gioia, dopo il debutto con il Pescara, fu la promozione in A con il Pisa di Romeo Anconetani nel 1982, seguirono poi le esperienze con Perugia, Padova, Fiorentina, Ascoli e Como. Nel 1993 il ritorno alla guida dei viola, ultima esperienza sul campo prima di intraprendere la carriera di opinionista in tv.

Chi era

Chi era Aldo Agroppi? Un uomo agli antipodi, fuori dagli schemi, che ad un certo punto della sua vita si è messo contro ciò che più amava, il calcio, perché non ci si ritrovava più.

Un personaggio a modo suo, che tifava sin da ragazzino per la Juventus e che è diventato grande con il Torino; che ha litigato, lui toscano doc, con i tifosi della Fiorentina, venendo duramente contestato; che nell'unica ma breve avventura professionale in Veneto è scappato da Padova dopo tre mesi, mollando tutto e tutti, ufficialmente per la depressione, in realtà perché innamoratosi di una donna della sua Piombino, che raggiungeva di segreto nel cuore della notte partendo dalla città del Santo dopo ogni allenamento e sciroppandosi centinaia di chilometri in auto.

Amava Sivori, ma il Granata...

A 12 anni stravedeva per Omar Sivori, tanto da andare in giro con i calzettoni bassi e arrotolati come il fuoriclasse argentino. Ma quando fu adocchiato dagli osservatori del Toro e portato in prova al club granata, entrando nel mitico stadio Filadelfia gli venne un groppo in gola. Confesserà, qualche anno dopo: “Lì ho capito tutto della vita”.

Abiurata la fede juventina, sposati i “cugini” rivali di sempre. Un amore bellissimo, costellato di gioie e dolori, ma anche di rabbia, come la volta in cui perse lo scudetto per quello che ha sempre definito “uno scippo”. Era il 1972 e si giocava Sampdoria-Torino: l'arbitro Barbaresco gli annullò una rete, sostenendo che la palla non era entrata, mentre invece aveva superato la linea bianca (come poi ammise lo stesso direttore di gara). Nella Samp giocava Marcello Lippi, toscano di Viareggio, con il quale non legò mai, perché, secondo il granata, aveva negato che fosse gol.

La fuga da Padova

Ci sono tanti presidenti e dirigenti con cui Agroppi lavorò, dopo aver appeso le scarpe al fatidico chiodo, ma i due con cui si trovò a condividere momenti non facili e poi bellissimi furono Romeo Anconetani, presidente del Pisa, e Pino Martini, vice-presidente del Padova.

Con il primo, un...vulcano, il rapporto fu di odio-amore, e sfociò in tripudio quando i nerazzurri vinsero il campionato di B nel 1982 salendo in A, per la felicità di un'intera città – si pensi che un livornese era diventato eroe sotto la Torre pendente – mentre con il secondo i giorni furono sofferti, culminati nella fuga dal Veneto dopo tre mesi alla guida, in B, dei biancoscudati, portati in alto in classifica.

Tormentato dalla depressione, ma anche da qualcos'altro. Agnese Soranzo, la proprietaria dell'hotel “La Piroga” di Selvazzano, dove l'allenatore soggiornava e abituale punto di riferimento logistico per le squadre che avrebbero affrontato il Padova nel glorioso stadio Appiani, rievoca così il momento cruciale: «Aldo era sempre triste, guardava fuori dalla porta-finestra che dà accesso al nostro albergo con lo sguardo assente, come se avesse un malessere che lo angustiava. Se ne andò definitivamente una mattina di febbraio 1984, senza dire nulla, neppure un saluto. Lui che era sempre gentile ed educato. Entrammo dopo qualche ora nella sua stanza, c'erano solo gagliardetti, si era portato via tutti gli abiti e gli effetti personali».

Scappato come un ladro di polli, diretto verso casa, perché non ne poteva più. Le cronache gossippare di allora riferirono di una stanchezza e uno stress divenuti insopportabili, perché l'uomo era via con la testa, preso da una liaison totalizzante per una sua concittadina, che vedeva dopo lunghissimi viaggi per poi fare ritorno a Padova. Ma ufficialmente la spiegazione alla base del clamoroso gesto fu “depressione”. Pochi giorni dopo la signora Agnese ricevette una lunga lettera dal mister: «Era una missiva di scuse, nei confronti miei, di mio marito e dei miei figli (li aspettava sempre al ritorno da scuola per pranzare con loro, ndr), per il modo in cui aveva interrotto il suo soggiorno da noi», ricorda. «Era stato Ferruccio Valcareggi, l'ex Ct azzurro e suo grande amico, ad avvisarmi che non sarebbe più tornato».

Una fuga che lasciò sconcertate la dirigenza e la tifoseria padovane, con il vice-presidente Martini disperato per aver perso un ottimo allenatore – lo raggiunse a Piombino per fargli cambiare idea, senza però riuscirvi – e la proprietà che lo sostituì a fine febbraio con Gennaro Rambone, arrivato ad un passo dalla Serie A grazie a 14 risultati utili consecutivi.

Il salto in tv

Davanti alle telecamere, i suoi commenti sono stati argomento di discussione e polemiche. Perché Agroppi non aveva peli sulla lingua, diceva ciò che pensava senza tanti giri di parole, dissacrante e convinto delle proprie “verità”. Ad un certo punto risultò talmente scomodo da essersi messo contro il sistema, allontanandosi dal calcio che tanto aveva amato e finendo nell'oblio, anche per stare vicino alla moglie Nadia, malata.

Un anarchico anche nel modo di chiudere la sua ultima esperienza professionale. E chissà che adesso sia lassù a dibattere di pallone come sempre attorno ad un tavolo pieno di tanti bei campioni, a cominciare proprio da quel Sivori per cui stravedeva.

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