Camin la «rossa» e Granze dai paleoveneti ai capannoni

Camin, con Cadoneghe, era la cosiddetta “cintura rossa” di Padova. Non sorprende che qui, nella casa del Popolo, si siano scritte pagine della Resistenza e della ricostruzione post bellica. Oggi resta la gloria impolverata. Ha chiuso nel 2007. Per cinque anni Livio Cappello s’è battuto per riaprirla, ha gettato la spugna di fronte ai 3 mila euro chiesti dalla Fondazione del Partito Democratico per riconvertirla a circolo. Lontani i tempi epici dei 350 soci, ora è un deposito di materiale culturale.
Il secolo scorso sembra solo un tassello del ricco mosaico di questo quartiere (Camin ha origini antiche, paleovenete. Il ponte dei Graissi, o dei Greci, risalirebbe al passaggio del militare spartano Cleonimo. Mentre la chiesa di San Salvatore esiste da prima del 1200. E Villa Berta, originaria abitazione patrizia, chiamata “casa Pajola”, nel dopoguerra ospitò un ospedale geriatrico e poi una scuola. Vicino a Villa Berta anche Villa Mistrello, in stile veneziano seicentesco). Invece, la soria è stata spazzata via negli ultimi decenni del ’900. Un passato recente che ha ridisegnato il quartiere, ovvero il progetto di una grande zona industriale nell’area a nord-est della città. L’idea nasce nei secondi anni ’40, ma solo nel 1956 Comune, Provincia e Camera di commercio diedero vita al Consorzio per la zona industriale e il porto fluviale. Il resto furono espropri autorizzati che diedero a Camin e Granze l’attuale toponomastica. Oggi come ieri, però, se chiedi a un caminese da dove viene, ti risponderà «da Camin», non da Padova. Quando escono dai confini del quartiere, precisano che vanno «in città». L’identità di questo rione della Circoscrizione 6 è granitica. Sulla carta sono frazione di Padova, un retaggio fascista che non implica differenze amministrative con gli altri rioni ma che sembra aver germogliato negli abitanti. Quando, otto anni fa, Stefano, uno dei quattro titolari dell’hosteria Al Canton, s’è trasferito armi e bagagli in via Vigonovese, aveva una sola preoccupazione: «essere accettato». Oggi è una perfetta sintesi della geografia etnologica del quartiere: al mattino solo clienti di passaggio, per lo più autotrasportatori; all’ora dell’aperitivo i residenti per un bianchetto o un prosecco; quindi via alla giostra dei pranzi d’ufficio e, a cena, i clienti cinesi. Che avranno pure la loro batteria armata di ristoranti, ma poi scelgono con piacere la tavola mediterranea. Si va “in città” per sbrigare pratiche amministrative e per eventi culturali. Tutto il resto lo si fa in paese, una realtà chiusa tra Villatora, Noventa e la Zip, ma con facili sbocchi alla tangenziale. Fino a qualche anno fa Villa Berta aveva anche anagrafe e servizi Uls, poi il grande trasloco a Terranegra ha depauperato il quartiere dei servizi e, da ultimo, ha preso il volo (per Villatora) anche la guardia medica. Non mancano invece le sale pubbliche: Villa Berta, oggi semi-deserta, ne abbonda e poi c’è palazzo Salmatia con sala Pisani.
Resta un organizzato e competitivo comparto commerciale che si “difende” tra capannoni, aziende e piccole ditte della logistica che preparano il terreno alla Zip vera e propria. In totale le attività commerciali, comprese di capannoni, depositi e aziende (esclusa la Zip) sono circa 150, di cui una trentina cinesi. Nel tratto di Camin tra San Gregorio e il centro abitato del quartiere, si contano 36 aziende e capannoni. Primeggiano i bar (9) per la stragrande maggioranza gestiti da cinesi; i ristoranti-pizzeria (7), altrettanti negozi di parrucchiere, barbiere incluso; le banche (6), i negozi di arredo (5) e altrettante concessionarie e ben 4 agenzie immobiliari. Dei 28 negozi al dettaglio, 3 sono fornai.
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