Camorra nel Veneto, il sindaco di Eraclea: «Nessun accordo elettorale».

In silenzio anche gli altri indagati, sentiti ieri nelle carceri di mezza Italia. Oggi, sabato, gli ultimi interrogatori, poi il Riesame 
COLUCCI - DINO TOMMASELLA - ERACLEA - INAUGURAZIONE NUOVO AMBULATORIO ULSS 4
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VENEZIA. Nessun accordo per lo scambio di voti con la costola del Clan dei Casalesi ad Eraclea. Lo ha sostenuto Mirco Mestre, il sindaco della località balneare finita al centro delle cronache dopo il maxi blitz di martedì contro la camorra, ieri mattina davanti al gip di Udine Matteo Carlisi, che lo ha interrogato per rogatoria.

Mestre, di professione avvocato, detenuto a Tolmezzo, è accusato dell’articolo 416ter, ovvero lo scambio elettorale politico-mafioso. Secondo l’indagine del sostituto procuratore Roberto Terzo, l’accordo tra l’allora candidato sindaco Mestre e Luciano Donadio, boss locale dei Casalesi, con l’intermediazione di Emanuele Zamuner, prevedeva un pacchetto di voti - circa un centinaio garantiti attraverso i sodali - in cambio del via libera a costruire una centrale a biogas a Stretti di Eraclea.

Il 5 giugno 2016, Mestre vincerà per 81 voti sull’avversario Giorgio Talon.

Difeso dall’avvocato padovano Emanuele Fragasso, Mirco Mestre, contrariamente alla maggior parte degli altri indagati, ha scelto di rispondere al gip. E ha ribadito con forza che non c’è stato alcun accordo, preliminare o successivo alla tornata elettorale, tra lui e il boss dei Casalesi.

Gli unici rapporti con Luciano Donadio, ha chiarito il sindaco, sono stati di natura professionale, essendo il primo cittadino un avvocato. E non ci sarebbe stata nemmeno alcuna richiesta di suggellare questo supposto legame con la richiesta di fare da compare per figli e nipoti.

Rispondendo al giudice, Mestre ha ricordato un episodio: verso la fine di giugno del 2016, una manciata di settimane dopo le elezioni, aveva ricevuto una richiesta di incontro da qualcuna delle persone - non ricordava chi - finite nell’inchiesta. L’incontro c’è stato, ma alla fine di luglio. Insomma, per il faccia a faccia era stato necessario attendere.

A dimostrazione, secondo Mestre, che non ci fosse alcun rapporto privilegiato con quella gente.

Il boss in silenzio

È rimasto in silenzio, invece, l’altro protagonista dell’inchiesta. Il boss Luciano Donadio, in carcere a Parma, si è avvalso della facoltà di non rispondere. «L’ho trovato abbastanza combattivo nonostante la mole di accuse, una più grave dell’altra, che fatica a comprendere», spiega il suo difensore Renato Alberini. In silenzio anche il figlio Adriano Donadio, così come Raffaele Buonanno, braccio destro del boss.

Zennaro si difende

«Non ero la segretaria dei Casalesi». Claudia Zennaro, impiegata al patronato “Labor” di San Donà, ha voluto chiarire.

«Ha fatto solo quello che le dicevano di fare, sempre con abnegazione e correttezza», dice il suo avvocato Enrico Villanova. Nel corso dell’interrogatorio, la donna non ha chiamato in causa nessuno, professandosi innocente.

I due di corrado

Bruno Di Corrado, consulente del lavoro, difeso dagli avvocati Stefania Pattarello e Giorgio Pietramala, non ha risposto. I suoi difensori raccontano di un uomo di 69 anni, incensurato, che è distrutto. Il figlio Angelo, invece, pur avvalendosi della facoltà di non rispondere, ha fatto mettere a verbale la disponibilità a parlare con il pm Terzo.

«Non conosco Donadio»

L’imprenditore padovano Vittorio Orietti (avvocato Miazzi) ha negato di conoscere Donadio. Giorgio Minelle (avvocato Bonon), invece, vittima di usura, ha detto di aver avuto contatti con Donadio solo in virtù del suo lavoro. Antonio Basile ha negato di essere stato un componente dell’associazione camorristica. Franco Breda ha risposto. Così come hanno chiarito la propria posizione Antonello Franzin, che ha negato i rapporti con il boss, producendo anche alcuni documenti, e Norha Elena Valencia, la quale ha sostenuto di non aver partecipato ad una estorsione.



Il silenzio degli altri

Gli altri indagati sentiti ieri nelle carceri di mezza Italia sono stati in silenzio. Bocche cucite per Christian Sgnaolin, per l’imprenditore Samuele Faè, per Graziano Poles, Carmelo Floridia, Milva Zangrando, Lefter Disha, Elton Koka, Tommaso Napoletano, Nunzio Confuorto.

Le strategie

Oggi gli ultimi interrogatori degli indagati in carcere, lunedì davanti al gip veneziano compariranno coloro che sono stati destinatari di misure meno restrittive. Poi l’attenzione delle difese sarà tutta sul ricorso al Riesame, primo vero banco di prova dell’inchiesta. —


 

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