Carta come pelle storie di tatuaggi di Nicolai Lilin

Domenica verrà presentato a Padova l’ultimo libro dello scrittore siberiano
Di Nicolò Menniti-ippolito

di Nicolò Menniti-Ippolito

PADOVA

Nicolai Lilin è esattamente come non te lo aspetti. I suoi libri, in qualche modo autobiografici, parlano di un giovane della Transnistria che scopre la guerra civile, la criminalità e la prigione quando è ancora bambino; che da ragazzo finisce a combattere in una guerra sporca come quella cecena; che quando torna a Mosca a vent’anni è segnato profondamente dal suo passato. Quando lo incontri, a Padova, dove domenica presenterà il suo nuovo libro, Nicolai Lilin è un giovane trentenne molto gentile, con una leggera inflessione russa, ma assolutamente padrone di un italiano elegante, un volto sereno e grande disponibilità a raccontare.

Leggenda vuole che il suo corpo sia quasi interamente tatuato, come quelli dei criminali che ha raccontato in “Educazione siberiana”, ma in realtà si nota solo qualche traccia sulle mani. «I tatuaggi» dice «non sono fatti per mostrarli, sono una cosa estremamente personale, segreta, raccontano come sei, non si può esibirli. Io spesso uso anche le maniche lunghe per coprire anche le mani». Eppure il tatuaggio è per lui qualcosa di sacro. «Appunto per questo» aggiunge «non vanno esibiti. Chi oggi si tatua non ha capito nulla. Il tatuatore nella tradizione siberiana è uno a cui racconti i tuoi segreti, anche quelli che non racconti a nessuno, è un confessore, uno psicanalista, e quella che disegna sul tuo corpo è la tua storia ma nessuno deve leggerla, serve a te».

E quindi anche il corpo di Nicolai Lilin è una storia, ma più segreta di quella che ha raccontato nei libro. Nicolai Lilin è arrivato in Italia una decina di anni fa, seguendo il percorso della madre ed in Italia ha cominciato a scrivere. «È successo per caso. Mi occupavo di teatro a Torino, dovevamo raccontare in uno spettacolo la guerra e gli attori erano in difficoltà, perché non la conoscevano, ne avevano una idea retorica. Allora una sera ho cominciato a raccontargli quello che avevo vissuto e loro si sono emozionati, mi hanno detto che erano cose che andavano scritte. Io l’ho fatto, un amico ha mostrato alla Einaudi qualche racconto e dopo 15 giorni ho firmato per il mio primo libro». Così è nata “Educazione siberiana” che è stato subito un grande successo. A quel primo libro è collegato “Storie sulla pelle”, quarto romanzo di Nicolai Lilin, che uscirà la prossima settimana. «Quando ho scritto “Educazione Siberiana”» racconta «ho dovuto tagliare molte cose, perché volevo dare l’idea di un mondo arcaico, radicalmente diverso da quello occidentale, in cui valevano regole diverse. Lo stile imponeva una durezza ed il sacrificio di alcuni episodi. Però poi i lettori queste cose me le chiedevano e mi sono accorto che avevano diritto di saperle e ora le ho raccontate». In forma anomala, in realtà, perché il nuovo libro comprende sei racconti e molte immagini. «Sì» continua Nicolai « per la prima volta la Einaudi ha accettato di pubblicare nella collana Supercoralli un libro in cui le immagini contano quanto il testo scritto. Le immagini raccontano con altra lingua quello che raccontano i testi e io devo ringraziare chi ha avuto il corag. gio di pubblicare un libro di questo genere, che vuole essere di per sè un oggetto d’arte. Non per nulla abbiamo usato una carta particolare che ha la porosità della pelle umana». E non a caso, perché il libro parla soprattutto delle immagini, dei tatuaggi, che sono il mondo segreto della comunità di “criminali” siberiani di cui Nicolai Lilin parla per averci vissuto in mezzo.

«In realtà» dice «io posso raccontare solo una minima parte di quella cultura ormai morta. Quello che ho visto da bambino, quello che mi ha raccontato mio nonno. In “Educazione Siberiana” avevo dedicato un capitolo ai tatuaggi, ma mi ero autolimitato perché non sapevo se fosse giusto parlarne pubblicamente, spiegare i simboli».

In questo libro quindi si va un po’ oltre e del resto lo stesso Lilin è un tatuatore. «Non proprio» dice «io faccio tatuaggi ma non nel modo commerciale che si usa oggi. Per me il tatuaggio rimane una cosa personalissima. So che questa cultura, che viene dal sud della Siberia, oggi non esiste più neppure lì, ma il mio sforzo è quello di conoscerla fino in fondo e raccontarla». Sono tatuaggi complessi, anche con immagini religiose. Non è un caso se il Vaticano ha voluto comperare tutti i suoi disegni.

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