Case occupate, l'Ater manda un “contratto” agli irregolari

Simona ha sfondato la porta di un alloggio alla Guizza e ci vive con la famiglia. La proprietà le ha inviato la richiesta d’affitto

PADOVA. «Tipo contratto: occupanti abusivi», segue il «codice fabbricato» e l’indirizzo, quindi la «data emissione» e il canone. È quanto si legge nel foglio intestato Ater, inviato dall’ente a un inquilino abusivo. Più precisamente alla signora Simona M. che un anno fa ha sfondato insieme al marito la porta di un appartamento Ater alla Guizza e ne ha preso possesso per viverci con le sue tre figlie. E la proprietà che ha fatto? Se da un lato l’ha denunciata per l’occupazione abusiva, dall’altro le ha fatto arrivare il documento con scritto appunto “contratto”, tipologia “occupante abusivo”, con relativo canone di affitto. Riconoscendo, di fatto, una situazione di irregolarità. Va precisato che per entrare in un alloggio popolare c’è una graduatoria di aventi diritto.

Una situazione, quella di Simona, che potrebbe non essere isolata: in città le case occupate sono infatti 10. Proprio venerdì scorso il direttore dell’ente regionale Vittorio Giambruni ha inviato il dato al prefetto. Dei 10 casi, 9 trovano supporto in associazioni vicine ai disobbedienti, solo una famiglia ha fatto tutto da sé. Quella, appunto, di Simona M.: il “contratto” di 591,46 euro porta la data del 18 settembre scorso, un anno dopo che la donna, 40 anni, ha sfondato con il marito la porta dell’appartamento. E l’Ater non è l’unico ad aver “ufficializzato” l’abuso: anche l’Enel ha inviato il contratto dell’elettricità. Acegas Aps, invece, no: ha rifiutato di concedere il gas e ha rimosso il contatore. La donna pertanto s’arrangia con la bombola del gas e scaldando l’acqua sul fornello.

Nel frattempo il marito meccanico è andato a cercare fortuna in Albania, dopo il fallimento della sua officina. Dal Paese balcanico manda i soldi alla famiglia, 300 euro al mese. Simona fa le pulizie a chiamata e sopravvive grazie alla solidarietà degli amici e della parrocchia di Santa Teresa. «L'anno scorso, quando eravamo sotto sfratto, abbiamo monitorato le case Ater», racconta Simona, «Solo alla Guizza, tra via Brofferio e via Vivanti, abbiamo contato 12 appartamenti vuoti. In particolare quello che abbiamo occupato noi era sfitto da 5 anni. Ci sentivamo in colpa rispetto alla signora a cui non potevamo versare l’affitto perché era casa sua, ma qui è diverso. Queste sono case popolari, servono a chi ha bisogno, noi abbiamo bisogno: dunque eccoci qua».

L’Ater ha denunciato gli occupanti e l’iter per lo sfratto è stato avviato; il 15 gennaio 2015 arriverà l’ufficiale giudiziario, ma Simona non ha intenzione di mollare: «Se cercano di portarmi via mi do fuoco», minaccia, «ho tre figlie, devo pensare a loro. Ho chiesto aiuto a tutti: al Comune, all’ufficio casa, ai servizi sociali, tutti a dirmi di stare tranquilla e noi ci siamo ritrovati per strada». E’ stato in quel momento di disperazione che hanno preso la decisione di sfondare la porta di via Vivanti. Assicura Simona: «Vorrei pagare il giusto e le spese condominiali: il riscaldamento è centralizzato».

Il direttore Giambruni: "Nessuna regolarizzazione, solo un modo per farci pagari". «Ma quale contratto. Non esiste contratto per gli abusivi e non ne faremo mai». Il direttore dell’Ater, Vittorio Giambruni, spiega la formula fatta firmare agli occupanti: «Si tratta di un’indennità maggiorata del 250% e non fa di loro degli inquilini regolari». La formula è stata pensata per gli inquilini morosi e per i figli alla morte dei genitori titolari dell’alloggio. «E’ un titolo per chiedere i soldi», spiega Giambruni, «tuttavia gli ingressi forzosi ci preoccupano. Alcuni anni fa erano i no global ad occupare le case, dunque un fenomeno isolato. Con questa modalità il sistema è più subdolo: dietro c’è questa agenzia sociale per la casa, vicina ai disobbedienti, che monitorano il patrimonio Erp e fanno entrare famiglie, quasi sempre con minori. Liberare gli appartamenti, a questo punto, diventa molto complicato». Il caso più difficile, naturalmente, è quello con minori o donne in stato di gravidanza: «L’Ater non mette nessuno su un marciapiede», dice il direttore, «quando si tratta di minori le cose si fanno più complicate perché prima bisogna trovare una sistemazione alternativa»
 

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