C'è una città sommersa nel sottosuolo del Salone. Ieri il sotterraneo ...

L’ENTUSIASMO DEI PADOVANI. Nelle immagini pubblicate qui sotto, la folla di visitatori alla festa di apertura al pubblico dei restauri di Sotto il Salone. Nelle foto a sinistra e a destra la passeggiata, che è stata guidata dalle «anime buone», nella Padova di mille anni fa
C'è una città sommersa nel sottosuolo del Salone. Ieri il sotterraneo che contiene rovine stratificate medievali e romane è stato aperto al pubblico per celebrare la fine dei lavori di restauro del mercato più bello del mondo, della cattedrale laica dei giudizi e delle assemblee. Una grande festa ha animato le gallerie commerciali del Palazzo della Ragione, vetrine illuminate, carni, pesce, vini, esposti in un'abbondanza fastosa, perché inizia la corsa al Natale. C'è anche una piccola banda di fiati che fa musica, ballerine che volteggiano come farfalle e il gruppo teatrale di Progetto Giovani che ha cercato di trasformare la tradizionale guida storico-turistica in un percorso emotivo. «Sono le anime buone, custodi della memoria - ha detto l'assessore Luisa Boldrin - che accolgono i visitatori in questo piccolo viaggio nel mondo antico, nella città di mille anni fa». Grande partecipazione, sono ben le 800 prenotazioni alla visita nel mondo ipogeo. I cancelli sono stati aperti subito dopo mezzogiorno e la gente ha cominciato a fluire, a rapprendersi in capannelli e a mettersi in coda davanti all'accesso del sotterraneo. L'assessore Andrea Colasio, che ha firmato la regìa della sequenza di spettacoli culturali che sta vestendo la città autunnale, ha faticato a muoversi, continuamente fermato da gente che chiedeva informazioni sul Ram (Ricerche Artistiche Metropolitane). Sotto, a 6-8 metri dal piano di campagna, il sotterraneo è formato da tre gallerie disposte ad H. Pietre massicce, fondazioni di case e palazzi medievali, delimitano un sentiero, sembra di camminare tra i dolmen, domande e risposte, tutte sottovoce, perché il luogo ispira rispetto e un filo di paura. Poi una scaletta conduce in un anfratto buio. Attenti alla testa, si scende sfiorando spigoli di pietra, ma poi si accede ad una vasto sotterraneo voltato, in mattoni con cornici di trachite. E' una sala ampia, 14 metri di lunghezza e 5 di larghezza. E' stata battezzata «il cantinone», probabilmente una sorta di «caneva», un magazzino per le derrate alimentari. Conteneva recipienti di ceramica policromi, sbrecciati dal tempo, in parte polverizzati, formavano un tappeto marezzato di bruno, verde, rosso, giallo. I vasi erano ornati di rapaci che tenevano nel becco adunco un tralcio vegetale o di motivi a spiga o di alberelli di bacche. Precedentemente, però, questo antro scandito da framezzi sembra fosse stato destinato - e gli ambiti tenebrosi, «horribiles», come li definisce Luigi Da Nono testimoniano la fondatezza dell'ipotesi - a prigione, il carcere «vetus» che fu poi sostituito dalle prigioni delle Debite. «Ma come potevano vivere qui dentro?» chiede una signora impressionabile. Un uomo nerovestito, forse un'«anima mala» che si è introdotta di soppiatto nel comitato di accoglienza formato da anime buone, risponde con un ghigno: «Qui non vivevano a lungo, qui soprattutto morivano». La visita prosegue lungo i resti di una strada romana, la caratteristica pavimentazione è ancora visibile. Un frammento della via Annia? Più probabile che fosse una via di collegamento secondaria rispetto agli assi Massimo e Decumano su cui Patavium era stata adagiata e geometricamente spartita. Si scende più in profondità ed ecco la pavimentazione a tarsie bianche e nere, scoperta solo per una piccola porzione di una Domus romana. Certamente si trattava di una casa signorile. Il bianco e il nero sono gli unici colori delle pavimentazioni romane trovate nel Veneto. I muri perimetrali sono crollati e gli archeologi hanno anche trovate le tracce di un incendio, ovviamente divampato quando la residenza si trovava ancora in superficie. Quello che resta delle pareti interne presenta comunque tracce di affresco. Stupendo il pozzo in cotto di epoca medievale che conteneva l'acqua necessaria alla pulizia di questa vasta area di servizio. L'assessore Luisa Boldrin, una volta ritornati a riveder le stelle, fa notare un affresco del Duecento, scoperto di recente, che è una vera e propria mappa del mercato con i numeri corrispondenti ai banchi di vendita. Oltre a quello che offre oggi, il luogo, piuttosto insano e mefitico per via di un fiumicello che si impaludava in piazza dei Frutti, metteva in vendita selvaggina e anche animali vivi. Sotto il Salone c'è la festa. Il Consorzio, nato nel 1995 che unisce i commercianti del mercato coperto più antico d'Europa, offre un buffet. La gente si precipita con piglio da scampati al naufragio della Medusa: mortadella, formaggi, panini, vino. Entusiasma una montagnola di baccalà in cui si può fare zuppetta con scaglie di pane. La musica, amplificata sotto le volte, ti insegue da una galleria all'altra. I reduci dalla discesa nell'Averno colgono l'occasione per una spesa domenicale improvvisata. Un grande successo di pubblico malgrado la pioggia e il freddo. Lo spettacolo serve al rilancio commerciale in un momento difficile, ma soprattutto può favorire una maggior conoscenza della Sala della Ragione, uno dei monumenti più belli della città, con una originalità architettonica straordinaria, piuttosto trascurato dal giro turistico che, a Padova, è soprattutto religioso.
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