Chiarot: "E' bella come prima, ma più tecnologica e protetta"

VENEZIA. Il mantra consolatorio del dopo-devastazione lo conoscono tutti: “com’era, dov’era”. La storia della ricostruzione, però, è andata solo apparentemente così. «Per fortuna», racconta il sovrintendente della Fenice, Cristiano Chiarot, «il teatro è uguale a quello che era prima del rogo dal punto di vista estetico. È bellissimo, ma è molto, molto diverso dal punto di vista tecnico: un palcoscenico assai più moderno, un’acustica migliore e, certo, anche un impianto antincendio inimmaginabile allora: oggi il teatro può mettere in scena contemporaneamente due rappresentazioni e ne può provare una terza. Inimmaginabile, con la Fenice di “prima”».
Quel 29 gennaio 1996, Chiarot era a Varsavia come responsabile delle Relazioni del teatro, insieme all’allora sovrintentente Gianfranco Pontel. «Il teatro, si sa, era in parte chiuso per manutenzione, così avevamo in programma una tournée, per mettere in scena il Don Carlo e la Sonnanbula e un recital lirico. Eravamo in hotel e all’improvviso ci venne incontro il maestro del coro gridando: “Brucia il teatro, brucia il teatro!”. Pensavamo a uno scherzo: poi abbiamo acceso la televisione e siamo morti dentro. I cellulari non erano così diffusi, non c’era internet: Pontel riuscì a parlare con Cacciari con un telefono fisso. Nessuno dormì: restammo incollati alla televisione».
La sfida iniziò subito. «Il giorno dopo mi chiamò Giovanni Testa, allora alla Telecom: “Ho un assegno di due miliardi di lire, pronto”, mi disse. Il nostro primo obiettivo, era non perdere la stagione: il Malibran era chiuso e per sopravvivere dovevamo lavorare. Nacque così il PalaFenice al Tronchetto: lo stesso sindaco Brugnaro fu tra i finanziatori di quel progetto. Sentimmo una grande solidarietà, i tecnici del Comune si fecero in quattro per realizzare la tensostruttura e riuscimmo a rispettare il calendario, andando in scena a marzo con il Don Giovanni».
Oggi la Fenice è un teatro molto diverso da quel che era prima che il fuoco (doloso) la divorasse. Non scampa alla retorica della rinascita dalle sue ceneri e certamente l’intervento prezioso di intagliatori, stuccatori, sarti, maestri vetrai, tappezzieri, artigiani e operai edili l’ha fatta tornare quel che era.
«La macchina scenica è completamente nuova», prosegue Chiarot, «con tre ponti mobili fino a qualche decina di metri, la “graticcia” che sostiene le scene, l’ampio spazio sulla destra, prima occluso da colonne. Oggi la fossa d’orchestra può essere coperta facilmente e lasciare posto a sedie o portare i musicisti a livello platea: molto utile per le prove». La ricostruzione ha portato con sé anche una piccola sala voluta dall’architetto Aldo Rossi, ispirata al teatro palladiano di Vicenza: ospita oggi le prove del coro.
La Fenice, animata dal lavoro di 270 persone, più una quarantina a tempo determinato, si appresta così ad affrontare la stagione 2016 - firmata dal direttore artistico Fortunato Ortombina - con 18 prime produzioni, 130 rappresentazioni d’opera e una settantina di concerti, oltre alle attività per le scuole, conferenze e musica da camera. E c’è il nuovo impianto antincendio, con la grande vasca d’acqua interrata che rende il teatro autosufficiente. «Abbiamo anche un controllo 24 ore su 24 con due persone presenti, con patentino di vigili del fuoco, un impianto antincendio per il palcoscenico e uno per la sala e un sistema che consente che la struttura venga retta da piloni di acciaio». È mai più risuonata la sirena? «Solo una volta, per un falso allarme».
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