Chiesto il rinvio a giudizio per tre medici

Rischiano di finire a processo per concorso in abuso d’ufficio continuato e falso (reato quest’ultimo contestato solo a un imputato) il direttore della Clinica oculistica dell’Azienda ospedaliera di Padova, il professor Edoardo Midena, 60 anni di San Donà di Piave (Venezia), con il dirigente medico dello stesso reparto Stefano Piermarocchi, 61 anni di Padova, e l’oculista libero professionista Francesco Bisantis, 49 anni di Padova. Il pubblico ministero padovano Sergio Dini ha chiuso l’inchiesta a loro carico, sollecitando il rinvio a giudizio: ora la parola passa al gup che, nell’ambito di un’udienza preliminare, dovrà pronunciarsi sulla richiesta. A meno che gli imputati non chiedano di essere giudicati con un rito alternativo. A difenderli (nell’ordine) gli avvocati Antonio Forza, Michele Godina e Giorgio Gargiulo.
Secondo la pubblica accusa il direttore della Clinica avrebbe consentito a Bisantis, libero professionista e non dipendente dell’Azienda ospedaliera, di eseguire almeno cinque interventi chirurgici di cataratta (quelli documentati) su altrettanti pazienti dei suoi ambulatori privati. E dove? Nelle sale operatorie della Clinica oculistica che, all’epoca dei fatti (tra il 2007 e il 2012) si trovavano nell’ospedale Busonera in via Gattamelata oggi sede dello Iov (Istituto Oncologico del Veneto). Oltre ai locali Bisantis avrebbe usufruito della strumentazione. E il dottor Piermarocchi, dipendente dell’Azienda, avrebbe redatto alcune cartelle cliniche assumendosi la paternità di quegli interventi come “primo operatore”. Da qui l’accusa di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici solo a suo carico. Bisantis è il figlio di un ex primario dell’Oculistica, Cesare Bisantis. In particolare – secondo la contestazione della pubblica accusa – Midena (con il concorso di Bisantis) avrebbe violato norme del Codice di deontologia medica in merito alla regolare tenuta delle cartelle cliniche, ma anche gli obblighi di imparzialità e di trasparenza cui dev’essere improntata l’attività della Pubblica amministrazione come il divieto di utilizzare beni pubblici per fini privati.
L’inchiesta era scattata in seguito a un esposto firmato dal dottor Mario Angi, conosciuto oculista, indirizzato all’allora direttore generale dell’Azienda ospedaliera Adriano Cestrone che aveva trasmesso la segnalazione al capo della procura Matteo Stuccilli. Poi l’indagine era stata affidata al sostituto procuratore Dini. (cri.gen.)
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