Cinque anni di silenzi e segreti fino al tragico epilogo sui binari

Le sorelle di Emilio Cestaro, ex assessore travolto da un treno, tentano di ricostruire la vita del fratello «Era in proprio e non ce l’ha mai detto, non aveva problemi economici o familiari. Ma allora perché?»
Di Paola Pilotto

DI GAZZO PADOVANO. All’indomani del tragico gesto dell’ex assessore Emilio Cestaro, 45 anni, che ha posto fine alla sua vita gettandosi sotto un treno a Lerino (Vi), tutti si chiedono cosa sia scattato nella sua mente per decidere di farla finita. I primi a cercare un perché sono i familiari: dicono che non se ne fanno una ragione e non si danno pace. Emilio per tutti era l’uomo gentile, con il sorriso e una parola per chiunque incontrasse. Eppure nascondeva una sofferenza interiore che era riuscito a mascherare anche a chi gli stava più vicino.

Non ha lasciato biglietti, né messaggi. Deciso a incontrare la morte senza darlo a capire a nessuno, ha mantenuto fino in fondo la sua riservatezza, mantenendo segreti che nessuno riesce a capire. Come il fatto che da 5 anni non lavorasse più nello studio dove i familiari credevano fosse tuttora.

Le sorelle Carla e Daniela da due giorni cercano di ricostruire il puzzle della sua vita. «In famiglia credevamo lavorasse allo studio di commercialisti Benetti di Quinto Vicentino. Martedì mattina era partito per il lavoro, aveva detto alla mamma che sarebbe tornato alla sera. Abbiamo provato a chiamarlo in continuazione, niente. Mercoledì abbiamo chiamato lo studio e siamo rimaste di sasso: dal 2008 non era più lì. Poi è arrivata la tragica notizia. Allora abbiamo cercato di ricostruire la sua attività lavorativa: era molto riservato, non ne parlava mai».

Ma l’ipotesi di problemi economici o di lavoro e di eventuali loro strascichi in famiglia è categoricamente esclusa. «Quando ci sono decisioni da prendere insieme ci ritrovavamo spesso in famiglia», precisa Carla, «ma non sono mai emersi problemi di questo genere». Nemmeno le questioni lavorative sembrano poter essere state tali da portare al suicidio. «Abbiamo scoperto che lavorava in proprio come consulente fiscale: seguiva la contabilità di diverse aziende», racconta Carla, «forse ci faceva credere di essere ancora alle dipendenze di uno studio per non far preoccupare i nostri genitori: nel 2007 aveva aperto un bar a Camisano Vicentino con Daniela. Ci andava di sera e nel weekend. Papà non era favorevole: diceva che a lavorare in proprio, di questi tempi, è troppo rischioso. Forse è stato per questo che Emilio mentiva sulla scelta di non lavorare più come dipendente allo studio. Si era aperto la partita iva e lavorava per conto suo, ma non lo aveva detto in casa. Ogni mattina partiva e tornava alla sera come se stesse in studio, in realtà seguiva i clienti in proprio. Il bar è stato chiuso nel 2010 ed Emilio ha continuato a esercitare per conto suo come commercialista. Gestiva anche l’azienda agricola di famiglia a Ferrara: ci era legato, fin da bambino, molti fine settimana li passava lì a lavorare la terra. Faceva poi corsi e si stava cimentando con l’apicoltura. Forse aveva anche troppe attività. Senza contare gli impegni in Comune e quelli in parrocchia, all’Avis e alla Pro loco. L’anno scorso è venuto a mancare papà: per lui è sempre stato un punto di riferimento. Forse anche questo ha inciso».

Alle sorelle ora «resta il rammarico di non avere compreso questa sofferenza, il dolore per la sua perdita e le risposte che non ci diamo. Cosa può aver fatto scattare la molla di questo gesto? Vorremo poter capire, avere qualche dettaglio, sapere se ha incontrato qualcuno quel giorno, se ha subito qualche delusione. Perché per noi, adesso, è tutto assurdo e inspiegabile».

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