Coltivare il nocciolo la nuova tendenza Nella Bassa il 10% di tutto il Veneto

PADOVA. Piantare un bosco, oltre che positivo per l’ambiente, può essere anche redditizio quando si tratta di noccioleti. Le polemiche di Salvini sulle nocciole turche usate per la Nutella, anziché creare scompiglio, svelano un mondo segreto fatto di investimenti al servizio della sostenibilità, con un occhio alle dinamiche globali di un mercato fatto di biscotti e creme spalmabili, di cioccolatini e praline figlie di una tradizione dolciaria industriale che fa dell’Italia uno dei punti di riferimento mondiali di settore. E mentre i biscotti targati Ferrero sono scomparsi dagli scaffali dei supermarket in pochi giorni, le grandi multinazionali italiane si muovo per fare fronte ad una carenza endemica di materia prima sul territorio. Di fatto il Paese, con i suoi 78 mila ettari di boschi di noccioleti, è il secondo produttore mondiale (la quota è intorno al 15%), preceduto dalla Turchia che vale il 75% circa. Volumi troppo esigui, quelli produttivi nazionali, per soddisfare anche solo le esigenze di una sola delle tante multinazionali di settore.
Il Veneto, storicamente scarso di coltivazioni di noccioli, ha risposto positivamente agli stimoli di un mercato in espansione. Secondo Veneto Agricoltura nel 2008 erano 18 gli ettari dedicati alla coltura del nocciolo, dieci anni più tardi, alla fine dell’anno scorso, la superficie coltivata è di 333 ettari. Negli ultimi 4 anni anche a Padova, nelle pianure irrigue della Bassa, già una decina di agricoltori hanno scelto di scommettere su questa coltura, lenta a maturare rientri economici ma poco costosa nell’impianto, semplice da gestire nella manutenzione e nei trattamenti. Al dicembre dell’anno scorso la provincia poteva contare su poco più del 10% dei 333 ettari del Veneto.
Nel frattempo, assicurano da Coldiretti Padova, fervono le trattative per la stesura di nuovi protocolli commerciali con tutte le gradi case dolciarie italiane, a mano a mano che i boschi di noccioleto maturano per le prime raccolte a prezzi di mercato. «Gli agricoltori padovani guardano con grande interesse a tutte quelle colture che possono fornire redditività superiori a quelle del mais, della soia e del frumento» spiega Paolo Minella, responsabile ambiente e filiere innovative di Coldiretti Padova «ed il noccioleto è di certo una di queste: ogni ettaro in pianura può produrre fino a 40-50 quintali di nocciole con ricavi anche di 20 volte superiori a quelli del mais. E tuttavia la sfida è complessa: per arrivare a regime con la raccolta si devono aspettare 5 anni e per raggiungere la piena produttività del bosco ce ne vogliono anche 8 o 10. è vero che i costi di impianto e manutenzione sono bassi ma è vero pure che per alcuni anni non c’è guadagno. Ecco allora che in molti sono alla finestra per vedere come evolve la sfida della produzione autoctona».
Ma per tanti imprenditori prudenti ce n’è qualcuno che ha scelto di rischiare. È il caso di Alberto Alfonso, architetto e allevatore di pittbull di Megliadino che ha scommesso 10 ettari dei suoi 13 sulle nocciole Bio. «Di fatto la mia attività è molto diversificata» spiega Alfonso «continuo a fare l’architetto, ma coltivo pure lo zafferano, con mio fratello alleviamo American Pittbull Terrier e facciamo molte altre attività. Assieme ad alcuni amici abbiamo deciso di puntare sulle nocciole, rigorosamente bio, come per altro tutto il resto che coltiviamo». Ma la spinta dell’imprenditore agricolo è stata anche un’altra. «Sono sempre stato innamorato dei boschi e della natura» spiega. «Dopo una giornata passata tra progetti e incartamenti poter uscire a fare una passeggiata in mezzo ai noccioli è un’esperienza fantastica, che fa bene alla vista, all’aria che respiro, e pure, rispetto a quanto dicono gli agronomi che analizzano lo sviluppo vegetativo della coltura, anche al portafoglio». —
Riccardo Sandre
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