«Così leggiamo il cervello e impariamo a curarlo»

La Neuroradiologia dell’Azienda ospedaliera di Padova è riferimento nazionale nella cura dell’ictus per via endovascolare e per molte patologie pediatriche

PADOVA

L’Azienda Ospedaliera universitaria di Padova è fra le prime strutture in Italia per la cura delle patologie vascolari cerebrali. Vengono affrontati mediamente 500 casi di ictus l’anno, in parte con trattamento di trombectomia endovascolare con un recupero quasi completo delle funzioni nel 60% dei casi. Numeri più che raddoppiati rispetto a dieci anni fa. Questo trattamento è stato eseguito anche su un bimbo di appena 12 mesi, consentendone il recupero clinico. L’intervento è stato eseguito dal direttore della Neuroradiologia Francesco Causin affiancato dalla sua équipe. In tutto 8 medici neuroradiologi, 10 tecnici di radiologia medica, otto infermieri e 4 operatori socio-sanitari per un reparto che con oltre 30 mila tra esami diagnostici e procedure ogni anno è punto di riferimento regionale e nazionale.



Dottor Causin come si colloca nell’ambito dell’Azienda ospedaliera la Neuroradiologia?

«Questo reparto si integra con le altre discipline cliniche, quali l’area medica, in particolare Neurologia, Stroke Unit, Neuro-rianimazione, Oncologia, Pediatria e Riabilitazione, ma anche con le chirurgie. Nel percorso diagnostico affianca l’Anatomia patologica, la genetica e la biologia molecolare nell’interpretazione di patologie rare e casi complessi».

Un reparto essenziale a molte discipline.

«Soprattutto complementare. La moderna medicina non può prescindere dallo sviluppo di competenze specialistiche e dalla formazione di professionisti dedicati a particolari tecnologie e patologie. Il nostro è un gruppo giovane di medici: lavoriamo con una Risonanza Magnetica 3 tesla di ultima generazione e 1, 5 tesla, con una Pet Risonanza unica in Italia e Tac multistrato».

In quali percorsi diagnostici intervenite?

«Insieme a Medicina nucleare, Neurologia e il Centro regionale per il maltrattamento infantile e la collaborazioni con bio-ingegneri, neuro-psicologi, fisici e matematici sono state sviluppate tecniche diagnostiche di altissimo livello, e ricerche per lo studio e la definizione delle reti neuronali e delle malattie neurodegenerative, vascolari e oncologiche. La risonanza magnetica viene impiegata per esami sulle malattie infiammatorie in collaborazione con il Centro regionale di Sclerosi multipla. Nella sala angiografica abbiamo un apparecchio biplanare di ultima generazione per gli interventi endovascolari per aneurismi e malformazioni e alle procedure spinali per le fratture vertebrali e l’ernia discale. Eseguiamo studi 3D delle arterie e delle vene cerebrali per diagnosi e terapia di malformazioni vascolari».

La tecnologia è una componente essenziale?

«Assolutamente. Se prendiamo il caso dell’ictus, oggi riusciamo a individuare con precisione la zona colpita dal trombo, irrimediabilmente danneggiata, e quella circostante, di “penombra”, ancora salvabile: più tempo passa dall’evento più questa zona si riduce, riducendo le possibilità di recupero».

Come trattate l’ictus?

«Se il paziente arriva in ospedale entro 4 ore e mezza dall’ictus viene somministrato il farmaco per sciogliere il coagulo. L’effetto si ha in circa 40 minuti. Se non funziona, il paziente va in sala angiografica dove parte l’indagine per definire il settore colpito e l’area del cervello a rischio. La rimozione del trombo avviene per via endovascolare con microcateteri introdotti dall’inguine. Sono procedure estremamente complesse, rese possibili dalle avanzatissime tecnologie. Siamo stati anche la prima Usl nel 2015 ad avviare il teleconsulto neuroradiologico che mette in rete gli ospedali della provincia: possiamo confrontarci con tutti i colleghi di ciascun ospedale, inviare in tempo reale immagini di Risonanze e Tac, 24 ore su 24».

In ambito pediatrico dove intervenite?

«Eseguiamo diagnostica in oncoematologia, tumori cerebrali e malattie vascolari. Siamo uno dei tre centri in Italia che esegue la chemioterapia per i tumori dell’occhio di bimbi di pochi mesi. Effettuiamo esami diagnostici su neonati e bimbi maltrattati e con tecniche avanzate di risonanza abbiamo potuto rilevare, che sia il baby-shaking sia l’assunzione di stupefacenti fanno perdere connessioni neuronali essenziali per la maturazione del cervello».

Quanto ancora c’è da scoprire del cervello?

«La verità è che del cervello conosciamo poco. Non sappiamo come funziona, le nuove tecnologie ci stanno aiutando a capire i suoi segreti, consentendoci di scoprire le connessioni fra le varie parti. È un libro tutto da leggere, la sfida è decifrarne il codice, ci stiamo avvicinando».

Quale aspetto del cervello trova più curioso?

«Una cosa “strana” è la poca corrispondenza tra il volume del cervello e le performance del soggetto, “l’intelligenza” come si direbbe. Non è sempre la quantità di materia grigia a fare la differenza».

Quali le sfide più impegnative?

«Ci sono due grossi capitoli su cui concentrare la ricerca: i tumori e le malattie infiammatorie e neurodegenerative, come l’Alzheimer, che sono in aumento. Per i tumori cerebrali, a differenza che in altri organi, non ci sono ancora cure soddisfacenti. Mentre per le malattie degenerative stiamo individuando elementi diagnostici predittivi, per i tumori cerebrali non è possibile parlare di screening né di fattori di rischio certi. L’aspettativa media di vita nei casi di tumore alla mammella o al colon è più che triplicata, per quello cerebrale siamo lontani da questi traguardi. Le nuove terapie geniche e la medicina molecolare iniziano a dare speranze: c’è ancora molta strada da fare, ma la via è tracciata». —
 

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