Così morì Francesco Baracca asso dell’aviazione nel giugno del ’18 Gli storici trevigiani confutano le tre ipotesi sull’abbattimento

“Francesco Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano”: si intitola così il libro che uscirà domani con il nostro giornale (a 8,80 euro in più) e che vorrebbe riscrivere la storia della...

“Francesco Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano”: si intitola così il libro che uscirà domani con il nostro giornale (a 8,80 euro in più) e che vorrebbe riscrivere la storia della scomparsa del più famoso aviatore italiano di sempre, avvenuta sulle pendici del Montello il 19 giugno di 95 anni fa. Baracca avevav combattuto anche sui cieli del Friuli Venezia Giulia, in provincia di Pordenone, a Casarsa della Delizia, lì gli hanno intitolato l’aeroporto militare. Abbattè il suo primo aereo sui cieli di Gorizia, presso Medeazza il 7 aprile 1916. Il suo emblema – un cavallino rampante – sarebbe poi diventato quello della casa automobilistica Ferrari. La richiesta fu proprio di Enzo Ferrari in suo onore. Baracca cadde con il proprio aereo durante i giorni della seconda battaglia del Piave. Sulle circostanze della morte del maggiore «asso» tricolore della Grande Guerra, cominciarono subito a circolare numerose leggende: oggi un nuovo studio condotto dai ricercatori trevigiani dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, sembra smentirle tutte. Ad ucciderlonon sarebbero stati né un cecchino che lo colpì in fronte sparando da terra, né i due aviatori austriaci Arnold Barwig e Max Kauer che affermarono di averlo abbattuto nel corso di un drammatico duello aereo, né – infine – il pilota romagnolo si sarebbe suicidato in volo temendo di morire bruciato o di finire catturato. Quel lontano pomeriggio di giugno, alle 18.30, testimoni austriaci e italiani, videro un aereo in fiamme cadere sul Montello, dopo essere passato sopra il Collesel delle Zorle. Tutti ritennero che fosse il velivolo del maggiore Baracca. Con ogni probabilità invece, ad essere colpito fuun altro pilota italiano, poi «cancellato» dalla storia. La sua morte venne infatti posticipata di 24 ore. Sulle oscure circostanze della fine di Baracca si scatenò subito una feroce diatriba tra gli alti comandi dei due eserciti in lotta. Gli italiani non accettavano il fatto che il nostro aviatore potesse essere stato abbattuto da un pilota nemico e – dopo avere respinto con forza l’ipotesi del suicidio comparsa sulle pagine dei giornali - sostennero che a colpirlo fu un oscuro fante che sparava da terra. C’era infatti una piccola ferita nell’incavo dell’occhio destro, proprio alla radice del naso, che sembrava confermare questa ipotesi. Gli austriaci invece si convinsero che ad abbattere il pilota di Lugo, erano stati due loro aviatori, Barwig e Kauer, che riferivano di avere distrutto un aereo italiano sul Montello. Qual è la verità allora? Lo studio condotto dai ricercatori trevigiani ha riesaminato tutti i documenti noti, i volumi pubblicati e i luoghi nei quali la tragedia si consumò. Esso respinge tutte e tre le ipotesi fin qui descritte. Barwig e Kauer abbatterono senza dubbio un aereo italiano - che in molti osservarono cadere in fiamme - ma quel velivolo non era lo SPAD VII del maggiore Baracca. Quest’ultimo precipitò invece dodici minuti più tardi, colpito da fuoco antiaereo. Volava a bassa quota e planò all’interno della Valle dell’Acqua, una depressione dove nessuno poté vederlo cadere se non i soldati che vi combattevano. Il pilota mantenne la sua freddezza fino all’ultimo istante ma non riuscì a portare il velivolo danneggiato oltre la scarpata che chiude la valle. Picchiò contro la sua sommità, ad un passo dalle linee italiane e dalla salvezza. Quella che fu rinvenuta sulla sua fronte non è in realtà una ferita di arma da fuoco ma da una lesione da impatto, subita colpendo con la testa l’angusto abitacolo dell’aereo. Baracca uscì con ogni probabilità vivo dallo schianto del suo velivolo e si trascinò lontano da esso per sottrarsi all’incendio che ne divorò i rottami. La storia della scomparsa dell’«asso degli assi» è dunque quella di un uomo che rimase presente a se stesso sino all’ultimo istante e che affrontò con determinazione il proprio destino lottando per opporvisi.

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