Covid Hospital di Schiavonia, scoppia la protesta delle addette alle pulizie

MONSELICE. Si immagini di lavorare con un camice che limita anche i più semplici movimenti, che rischia di far inciampare a ogni passo, o che facilmente si slaccia con il conseguente rischio di contaminazione. Un camice che, proprio per il tipo di lavoro che si compie, lascia inevitabilmente l’operatrice in un bagno di sudore, causando anche arrossamenti ed eritemi, oltre che situazioni di panico e soffocamento. Il tutto in una situazione di estrema tensione come quella attuale. A denunciare questo scenario sconfortante sono le addette alla pulizia del Covid Hospital di Schiavonia. Una cinquantina in tutto, legate alla Coopservice che ha in appalto la pulizia sanitaria dell’ospedale, molte delle quali ieri hanno deciso di far sentire la loro voce attraverso il sindacato Adl Cobas.
Lavoratrici invisibili
Si definiscono «le lavoratrici invisibili» e lamentano condizioni di lavoro estremamente difficoltose, nonché disparità di trattamento rispetto al resto del personale medico. «Siamo quelle che si alzano alle 5 del mattino, ma nessuno ci vede. Lasciamo solo il nostro passaggio di pulizia, spesso scontato» denunciano le lavoratrici, «Noi ci siamo, nonostante nessuno ne parli, nonostante le paure, considerando i rischi in cui anche noi e le nostre famiglie potremmo incorrere». A muovere la protesta è la fornitura di dispositivi di protezione individuale (Dpi). «Siamo esposti, come tutti gli operatori sanitari, al rischio di contrarre il Covid-19 perché entriamo nelle stanze dove sono ricoverate le persone contagiate e dobbiamo operare in prossimità dei pazienti. Per noi è spesso impossibile lavorare mantenendo la distanza di sicurezza» spiegano, «Per il personale addetto al servizio di pulizia si vorrebbero adottare le “tutele minime” dettate dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Ma noi lavoriamo nelle stesse condizioni ambientali del personale sanitario e, mentre lavoriamo, non possiamo assolvere alle nostre funzioni fisiologiche di base: non possiamo bere o andare in bagno, per esempio, perché dovremmo togliere i presidi di sicurezz, che sono contingentati, ed indossarne di nuovi». E ancora: «Quando ci togliamo le mascherine abbiamo i volti coperti di ematomi, a causa della disidratazione prolungata spesso legata all’abbigliamento inadeguato».
Chiedono protezioni
Per settimane queste donne hanno lavorato con camici inadatti: sicuri, certo, ma che impedivano la libertà di movimento necessaria per svolgere tutte le operazioni di pulizia.
Il problema era stato efficacemente risolto con l’adozione di particolari tute integrali che garantivano una protezione completa e una maggiore libertà di movimento. «Fornite fino all’1 aprile, in questi giorni si è tornati ai precedenti dispositivi, assolutamente inadatti. Con l’aggiunta di stivali in gomma, pesanti ed estremamente scomodi». Attraverso Adl Cobas, le addette alla pulizia chiedono il ripristino di quei Dpi sicuri e funzionali al lavoro. Inoltre chiedono che venga effettuato il tampone a tutto il personale delle pulizie, come sta avvenendo per il personale sanitario visto che, anche a Schiavonia, ci sono stati diversi casi di contagio tra gli operatori. «Nessuno ci ha ancora dato una risposta».
Il fenomeno è esteso a tutta la categoria, come conferma Marquidas Moccia, segretaria generale di Filcams Cgil Padova: «La situazione dei lavoratori che si occupano delle pulizie nelle nostre strutture sanitarie è difficile a causa della mancanza di formazione e di ritardo o carenza di fornitura dei Dpi. Abbiamo sollecitato le aziende, i committenti ma anche lo Spisal per chiedere ispezioni mirate. Abbiamo dovuto sollecitare le aziende che lavorano in appalto affinché le informazioni e la formazione dovuta ai lavoratori per il nuovo e pericoloso rischio biologico fosse messa in campo. Le nostre richieste erano di garantire condizioni di sicurezza omogenee al personale sanitario e a quello degli appalti, per questo il confronto si è attivato anche con l'Azienda Ospedaliera di Padova. Qui, dopo tante sollecitazioni, si sta procedendo a fare i tamponi al personale delle pulizie e della ristorazione. Non dimentichiamoci che tutti questi lavoratori si muovono all'interno degli ospedali. E soprattutto che, nel fornire un servizio essenziale, potrebbero esporsi al contagio, con la paura di fare poi rientro a casa dalle loro famiglie». —
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