Da Villa Venier partirono in 47 soltanto tre tornarono vivi a casa

GLI ULTIMI SECOLI
La villa dei Contarini, tra le più prestigiose famiglie della Serenissima, è uno dei luoghi-simbolo di Vo’, per il ruolo svolto durante l’occupazione nazifascista nella seconda guerra mondiale. I Contarini ne restano proprietari per secoli, anche dopo la caduta della Repubblica di Venezia, fino al 1846. Poi il complesso passa a un’altra famiglia nobile di origine veneziana, i Venier, e quindi a una casata tra le più insigni della plurisecolare storia di Padova, gli Emo Capodilista. Ma non vi rimane a lungo: frazionata in vari annessi venduti separatamente, viene infine acquistata dal Comune negli anni Cinquanta del Novecento.
A quel punto peraltro è diventata tristemente famosa perché, nella fase conclusiva della seconda guerra mondiale, dopo la caduta di Mussolini e l’occupazione tedesca, dal 3 dicembre 1943 viene trasformata in uno dei tre campi di concentramento nazisti creati in Italia, assieme alla Risiera di San Sabba a Trieste e a Fossoli, vicino a Modena. Poche settimane prima, il 14 novembre del ’43, la cosiddetta Carta di Verona ha sancito che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri e appartengono a nazionalità nemica”; perciò si decide di internarli nei campi di concentramento delle varie Auschwitz, Dachau, Mauthausen, Treblinka e altri ancora.
All’interno di questa perversa logica, i campi italiani diventano luoghi di parcheggio e di transito: il 24 dicembre 1943, alla vigilia di Natale, 47 ebrei (i loro nomi sono ricordati in una lapide affissa nella villa) vengono deportati per sei mesi a Vo’. Il 17 luglio 1944 li si trasferisce alla Risiera di San Sabba, da cui poi raggiungeranno Auschwitz: torneranno a casa solo tre donne. Una di loro è Sylva Sabbadini, scomparsa poche settimane fa, a luglio. Aveva solo 15 anni quando era stata presa dai nazisti assieme ai genitori e a uno zio in una casa di Terraglione di Vigodarzere, dove la famiglia Bano li teneva nascosti; fu un delatore a tradirli. Nel campo di concentramento tedesco riuscirono a sopravvivere solo lei e la mamma. Ma l’esperienza fu talmente pesante e devastante, che non volle mai raccontarla se non poco prima di morire, lo scorso anno.
Solo nel 2004 peraltro, a distanza di sessant’anni dalla vicenda, era tornata in quella Vo’ che aveva segnato in profondità la sua giovane esistenza. —
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