«Dare un significato alla pena: la città condivida lo sforzo»

Claudio Mazzeo chiede più coinvolgimento del Comune «La comunità capisca che restituiamo persone migliori»
PD 12/06/03..VISITA AL CARCERE. CORRIDOIO CON PANNELLI DIPINTI DAI DETENUTI (MILANESI) VISITA AL CARCERE PER MILANESI
PD 12/06/03..VISITA AL CARCERE. CORRIDOIO CON PANNELLI DIPINTI DAI DETENUTI (MILANESI) VISITA AL CARCERE PER MILANESI

Non è l’esperienza a mancargli, ché lui di carceri ne ha girati parecchi lasciando su ognuno la propria impronta, e non nel casellario giudiziario. Per l’esattezza è stato nelle case circondariali di Trapani, Catania, Caltagirone e gli ultimi otto anni li ha passati a Cuneo. Come direttore, giusto per chiarire. Si chiama Claudio Mazzeo classe ’60, sposato, padre di due figli, catanese. Da 20 giorni è a Padova, nuovo direttore della casa di reclusione Due Palazzi, dopo Ottaviano Casarano che nel 2015 era arrivato al posto di Salvatore Pirruccio, direttore per 13 anni, fautore del carcere riabilitativo, promosso-rimosso nel periodo della prima inchiesta sul carcere per traffici di droga e telefonini.

Mazzeo non è tipo che si trincera dietro la scrivania: in 20 giorni ha già incontrato i detenuti di quasi tutte le sezioni, a gruppi, e ne sta incontrandone le rappresentanze; ha incontrato i rappresentanti del coordinamento volontariato interno al Due Palazzi (una quarantina tra associazioni e cooperative, le più diverse: dalla chiesa Avventista alla grande cooperativa Giotto, pasticceria, call center e altro); ha incontrato i magistrati di sorveglianza («siamo sulla stessa linea di tolleranza zero, e io lo ho già detto ai detenuti: chi sgarra si gioca le opportunità trattamentali»); vuole programmare con la Asl un presidio in carcere per ridurre il rischio suicidio tra i detenuti.

È da solo Mazzeo, nel senso che la carenza di organico si traduce nell’assenza di un vice, ma lavora di concerto con i suoi più stretti collaboratori: da una parte il comandante della polizia penitenziaria Carlo Torres e il commissario Salvatore Parisi, ovvero la sicurezza; dall’altro Lorena Orazi (con tutto il personale amministrativo) responsabile dell’area educativa e cioè le possibilità di “trattamento”. Due anime che convivono e si intrecciano, al Due Palazzi, dove l’opportunità di studiare, lavorare e partecipare ad attività che viene offerta ai detenuti vuol dire un sovrappiù di lavoro per gli agenti di polizia penitenziaria (in sottorganico) i quali devono far fronte a un carcere in continuo movimento.

Qualche numero: 537 i reclusi (lavorano in 280, 150 nelle cooperative e 130 con l’amministrazione carceraria, leggi pulizie, cucina, manutenzioni); 260 gli agenti più 50 del nucleo traduzioni (stando alla pianta organica dovrebbero essere 430) e 470 esterni che entrano in carcere chi tutti i giorni chi ogni tot: dagli insegnanti dell’Einaudi che da 30 anni sono presenti al Due Palazzi a quelli dei corsi Cpia (Centro istruzione adulti che fa capo all’istituto comprensivo Parini di Camposampiero), dalle cooperative ai volontari. Senza contare i gruppi di studenti e prof che partecipano agli incontri organizzati da Ristretti Orizzonti; quelli di preghiera con “pullmanate” di parrocchiani che la domenica entrano per la messa di don Marco Pozza, cappellano del carcere, o le squadre esterne che incontrano i giocatori detenuti di Palla al piede, gloriosa formazione di calcio del Due Palazzi.

Direttore Mazzeo, lei arriva a dirigere la casa di reclusione Due Palazzi che è stata al centro di un’importante inchiesta sul traffico di droga e cellulari.

«Sì, ma le criticità sono venute fuori, il che significa che il sistema dei controlli funziona. Noi abbiamo fiducia nella magistratura e la polizia penitenziaria ha collaborato al massimo nell’inchiesta interna, è stata determinante. E mi dispiace che vengano enfatizzate solo le criticità e non venga messo in risalto l’enorme lavoro che viene fatto in questo istituto così complesso. Da parte della polizia penitenziaria, per prima».

Ma il carcere di Padova è un’eccezione o questi problemi sono in realtà comuni a tutti gli istituti di pena?

«Il problema dei cellulari è ovunque. Nel 2017 nelle carceri di tutta Italia ne sono stati sequestrati 540. In Francia è passata una legge che istituisce una postazione telefonica fissa nelle celle: il detenuto può chiamare solo persone autorizzate, anche ogni giorno. E, ripeto, al Due Palazzi i problemi sono emersi e sono stati trovati i responsabili. Non è detto che questo accada sempre».

Cosa pensa del telefono fisso in cella?

«Ridurrebbe il fenomeno del traffico dei cellulari anche perché abbiamo verificato che poi i cellulari “clandestini” che entrano in carcere i detenuti li usano per chiamare i familiari».

Con che mezzi e modi affronterà il problema sicurezza?

«Bisogna investire nei controlli ovviamente ma soprattutto bisogna far passare qui dentro la cultura della legalità. E questo sarà il mio sforzo. Anche se io mettessi dieci agenti ad ogni angolo, non risolverei il problema. Deve passare il messaggio che se entrano ancora droga e cellulari è una sconfitta per tutti, e i detenuti si giocano ogni opportunità trattamentale. Punto. Nessuna tolleranza. Sono convinto che riusciremo a veicolare questo messaggio proprio a partire dai detenuti».

I progetti che le stanno più a cuore?

«Le attività formative professionali per i detenuti, che sono carenti. Vorrei implementare l’attività della Scuola edile per esempio. È fondamentale che i detenuti possano ottenere un titolo abilitante al lavoro, riconosciuto fuori».

Un’esperienza che esporterebbe dal carcere di Cuneo, che ha diretto per otto anni?

«Avevamo avviato la scuola alberghiera. È stata un’esperienza molto positiva. Un progetto che potrebbe funzionare bene».

Direttore Mazzeo, ha qualcosa da chiedere e a chi?

«Per prima cosa chiedo più coinvolgimento da parte del Comune, per esempio per i percorsi di risocializzione. La comunità tutta, ogni singolo cittadino, deve percepire che il carcere ha una fondamentale funzione pubblica: restituire alla società una persona migliore, dare un significato alla pena. E questo è uno sforzo che deve essere condiviso».

In sostanza, il Due Palazzi è a Padova, è un paese dentro la città, non può rimanere invisibile, abbandonato, rimosso. Le risorse veicolate sul carcere non sono “sprechi”, sono strumenti per risanare invece che condannare all’emarginazione e dunque alla reiterazione dei reati. Un detenuto che si ritrova fuori, magari a fine pena, senza dove andare, senza la speranza di un’occupazione, senza un appoggio, senza un tetto, solo o con la famiglia disastrata o lontana, anche se ha fatto tutti i percorsi “trattamentali” possibili, è facile che, extrema ratio, si rivolga agli unici riferimenti esterni che conosceva prima del carcere e che spesso sono quelli che in carcere lo hanno portato.

Il mondo esterno che entra in carcere: rischio o risorsa?

«Io sono appena arrivato, questa è una realtà complessa e per me è una grossa sfida. L’attività del volontariato in carcere è un prezioso contributo, e lo stesso quella delle cooperative: i detenuti chiedono lavoro, è fondamentale nel percorso trattamentale della persona. Ho appena incontrato un detenuto, prima era la famiglia che si faceva carico di lui, adesso ha un lavoro in cooperativa: con che orgoglio, con che gioia mi ha raccontato che ora è lui che aiuta la sua famiglia, fuori».

Argomenti:carcere

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova