Doping, un affare di famiglia: indagato anche Ferrari Jr.

PADOVA. Dietro il doping, ecco il business. E dietro il medico (il dottor Michele Ferrari), spunta un sodalizio affaristico di cui farebbe parte anche il figlio Stefano, costruito sul traffico illegale di farmaci che pompano muscoli e capacità polmonare degli atleti - dagli olimpionici, come il maratoneta altoatesino Alex Schwazer, agli amatori - destinato a moltiplicare introiti in “nero”. Introiti che spesso nemmeno passano per l’Italia (e per il filtro del fisco nazionale), ma restano ben saldi in Svizzera.
È l’altra faccia della medaglia dell’inchiesta sul doping avviata dal pubblico ministero padovano Benedetto Roberti che ha iscritto nel registro degli indagati il figlio del chiacchieratissimo medico sportivo, il giovane Stefano Ferrari, residente nella casa di famiglia di Montecarlo, gestore ufficiale del sito del padre www.53X12.com e molto di più. Sospetta la procura che, del padre, il figlio sia il fedele braccio destro. Così non ha evitato la pesante accusa di concorso in associazione a delinquere già contestata a papà, accusato pure di traffico e utilizzo di sostanze dopanti, riciclaggio, evasione fiscale e contrabbando.
Dall’analisi dei computer in mano agli investigatori, sequestrati ai Ferrari (senior e junior), sarebbe emerso che Stefano Ferrari riceveva nel Principato di Monaco atleti poco inclini a far notare la loro collaborazione con il medico sportivo, dal 2001 inibito a vita dal frequentare tesserati. Non a caso: il rischio è la squalifica. Le indagini avrebbero rivelato che, pur non essendo né medico né farmacista, Stefano Ferrari comunicava via mail al padre le esigenze dei pazienti-sportivi e il sanitario, sempre in rete, rispondeva consigliando terapie e fornendo indicazioni per trattamenti. Tutto, ovviamente, a pagamento. Un pagamento personalizzato com’è pubblicizzato sul sito in inglese.
Già perché doping non è solo sinonimo di record sportivi inarrivabili o quasi, di risultati fantastici, di prestazioni oltre il limite. Doping significa soprattutto affari e guadagni. Per tutti. Per gli atleti (almeno i professionisti): più si è forti, anche se grazie alla chimica, più si incassano contratti e sponsorizzazioni vantaggiosi. E per chi manovra i fili di quel traffico e lo gestisce dal punto di vista sanitario: più diffuso è il doping, più si incentivano i profitti.
Tra i settanta indagati nell’inchiesta padovana, figura un direttore della filiale della banca Bsi di Locarno dove alcuni sportivi legati al giro del doping avevano acceso conti correnti coperti da prestanome. Nello stesso istituto c’era il conto (intestato a una testa di legno) del ciclista Michele Scarponi, marchigiano trentaduenne, paziente di Ferrari negli anni 2010-2011. Secondo al Giro d’Italia 2011 dietro Contador, quando lo spagnolo fu squalificato per positività al clenbuterolo, il marchigiano conquistò la vittoria a tavolino. Scarponi è indagato per riciclaggio insieme al suo procuratore, Simone Raimondo di Parma, impiegato per trasferire oltre confine quantità (lecite) di danaro per conto dello sportivo. Raimondo è una delle figure di rilievo dell’inchiesta dove (pur non essendo indagato) figurava da tempo il nominativo di Schwazer. Come quello del paralimpico Fabrizio Macchi, altro paziente di Ferrari. Il ciclista nega: «Ferrari non mi ha mai seguito, lo conosco perché sua figlia ha fatto la tesi in Scienze motorie su di me».
Prudente il presidente del Cip (Comitato italiano paralimpico) Fabrizio Pancalli: «Ho incaricato il segretario generale De Sanctis di avviare i primi contatti con gli organi competenti per un necessario approfondimento in merito alla posizione dell’atleta» spiega. «Se dovessero emergere elementi che possano minare l’integrità e l’etica del movimento paralimpico italiano» ha concluso Pancalli, «saremo pronti, seguendo la linea già tracciata dal Coni, ad assumere i necessari e idonei provvedimenti».
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