DUE ANNI DOPO / L'alluvione: tre rotte, un unico dramma

MEGLIADINO SAN FIDENZIO. Quel lunedì di Ognissanti stava trascorrendo pigramente, Savino Buggiato si era concesso un po’ di tivù e se ne stava rintanato sul divano del salotto. Pioveva tanto e soprattutto da tante ore, ma nulla lasciava presagire il disastro. «Ad un certo punto vidi le anatre galleggiare all’altezza del davanzale della finestra» ricorda l’agricoltore «e strabuzzai gli occhi. Mi precipitai alla finestra e vidi qualcosa di terribile. L’acqua avanzava a forte velocità, sommergendo ogni cosa. Il cortile della fattoria era diventato un lago».
La rotta del Frassine. La famiglia di Savino Buggiato, che risiede nella frazione Prà di Botte di Megliadino San Fidenzio, è stata la prima a testimoniare il dramma. La grande casa di famiglia, che sorge poco lontano dalla rotta del Frassine, è stata la prima a finire sott’acqua. Erano le 14,26 del primo novembre di due anni fa. Poco dopo altre abitazioni e altri terreni furono violentati dalla furia delle acque uscite rabbiose dalla breccia apertasi sull’argine del Frassine. L’alluvione si estese rapidamente ai territori di altri comuni, soprattutto in quello di Saletto, inghiottendo ogni cosa. Anche tantissimi animali: polli e tacchini intrappolati nei capannoni degli allevamenti soprattutto. Pure conigli e animali domestici.
Tutto iniziò nel Vicentino. La grande alluvione del Padovano iniziò così due anni fa, quando tutti erano concentrati sui danni che la piena arrivata dalle montagne, attraverso l’impeto di fiumi e torrenti, aveva già prodotto nel Veronese e nel Vicentino, compresa Vicenza città. Zone dove aveva mietuto anche qualche vittima. Nessuno aveva ipotizzato che il Moloch d’acqua investisse anche altre zone del Veneto.
La Bassa, un lago. Nella Bassa padovana nei giorni successivi il grande lago si estese a macchia d’olio verso est, allagando anche parte dei territori rurali di Ospedaletto Euganeo ed Este. A Carceri e Vighizzolo mancò poco e anche lì la popolazione dovette fare i conti con un’emergenza da cuore in gola. Gli argini del Brancaglia però tennero, nonostante per giorni l’acqua avesse corso sul filo della tracimazione.
Allarme discarica a Roncajette. La seconda rotta padovana avvenne qualche ora dopo, verso le 2,40 di notte del 2 novembre. A rompere fu il Bacchiglione che nel suo incedere gonfio d’acqua e di fango aveva seriamente minacciato anche Padova e Selvazzano. La gente era sugli argini a scrutare con inquietudine la piena, ma il fiume, subdolo, ruppe lontano da occhi indiscreti: a Roncajette di Ponte San Nicolò, al confine con Casalserugo, nelle vicinanze della discarica di Roncajette. Dettaglio, quest’ultimo, che fece temere il disastro ambientale. Invece gli arginelli di protezione tennero.
Casalserugo in ginocchio. Fu soprattutto il territorio di Casalserugo a subire il primo terribile urto dell’ondata d’acqua in caduta libera. L’80 per cento del territorio comunale finì allagato, 15 milioni di metri cubi d’acqua sommersero fattorie, abitazioni, opifici artigianali, negozi, campi. Tutto. 800 le famiglie danneggiate, 200 le aziende. 42 milioni di euro i danni stimati, che pongono Casalserugo al terzo posto posto dei comuni più colpiti dopo Vicenza (62) e Monteforte d’Alpone (54). Pure a Ponte San Nicolò danni ingenti.
Bovolenta, una buca. A Bovolenta ancora di più: l’acqua vi arrivò il 3 novembre, scivolando sul piano inclinato di una vasta depressione del territorio, quella dove colpevolmente fu costruita la zona produttiva di via Padova. La potenza delle idrovore nulla potè per evitare il disastro. Colpite anche le vecchie abitazioni del Villaggio Da Zara.
Rompe pure il Tesina a Veggiano. Terza rotta in ordine di tempo quella verificatasi a Veggiano. A rompere fu il Tesina che non riusciva più a riversare le proprie acque sul Bacchiglione. Furono allagate vaste zone anche del territorio di Cervarese Santa Croce, compreso il Castello di San Martino.
Dramma sottovalutato. In un primo tempo l’alluvione venne sottovalutata dai media nazionali e questo acuì la rabbia delle popolazioni colpite. I tigì nazionali arrivarono con almeno due giorni di ritardo, in tempo tuttavia per documentare la gravità del disastro e a raccogliere le drammatiche testimonianze di persone soccorse e salvate grazie a provvidenziali interventi con le barche. Palestre e scuole vennero trasformate in rifugi per le varie migliaia di sfollati. I centri più grandi furono quelli aperti a Saletto e a Casalserugo.
Poi vennero i tempi delle stime e della burocrazia e la rabbia venne rinfocolata dalla lentezza nell’erogare gli acconti dei risarcimenti che, nel caso delle imprese, erano vitali per assicurare la ripresa del lavoro.
L’esposto. Il Comitato Alluvione Veneto 2010 nei mesi scorsi ha trasmesso un dettagliato rapporto alla Procura, sostenuto da un centinaio di firme, per denunciare negligenze passate e presenti. In pratica per capire se la responsabilità dell’alluvione va fatta ricadere su qualcuno per non aver apprestato le necessarie opere di prevenzione. Il pm padovano Federica Baccaglini ha aperto un fascicolo. Inchiesta per ora senza indagati. Per ora...
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