È morto Arnoldo Foà la voce degli italiani per quasi un secolo

Ha fatto radio, cinema e tv, ma soprattutto tanto teatro Nel film dedicato a Sant’Antonio era Papa Gregorio IX
Di Nicolò Menniti Ippolito
Arnoldo Foa' in una foto di archivio ANSA
Arnoldo Foa' in una foto di archivio ANSA

Non è arrivato a 98 anni Arnoldo Foà, ma gli è mancato poco, molto poco, meno di 15 giorni. Ormai da qualche anno tutti, a gennaio, provavano a intervistarlo, anno dopo anno, perché era una delle ultime voci di una generazione che aveva cominciato quando a stento esisteva la radio, ed è finita con l’avere un sito web. In mezzo epoche che hanno cambiato il modo di essere attore.

Arnoldo Foà era “the voice” per quel che riguarda l’Italia. La sua voce ha accompagnato generazioni di italiani a teatro, alla radio, al cinema, in televisione. L’ha usata, quella grande voce, per doppiare decine di film, per leggere poesie, da Leopardi a Garcia Lorca, ma anche per annunciare, nel 1943, l’armistizio dalla Radio Alleata di Napoli. Ed ancora pochi anni fa è risuonata al Quirinale, quando aveva già più di novanta anni per leggere l’ultimo discorso pubblico di Aldo Moro. L’intreccio tra la storia italiana e la lunghissima carriera di attore non è casuale. Arnoldo Foà non è stato un attore politico, ma neppure un uomo lontano dalla società e chiuso nei teatri. Forse perché la storia lo aveva sorpreso amaramente quando aveva 22 anni, nel 1938: fu espulso, in quanto ebreo, dal Centro Sperimentale dove studiava.

Era anche un burbero, Arnoldo Foà, come ricorda chi ha frequentato teatri e camerini del Veneto in cui recitava spesso. Aveva un carattere esigente, qualche volta aspro per la rigorosa professionalità, ma anche una grande disponibilità sia pur venata di un cinismo che era più difesa che realtà.

Orgoglioso, sì, molto. Tanto da rompere con Visconti, che pure gli era amico, quando era il regista principe del teatro e del cinema italiano. Tanto da scontrarsi con Strehler per salvare una battuta e la sua dignità di attore. Del resto di problemi di lavoro non ne ha mai avuti. Anche perché era un primo attore, capacissimo di diventare però una spalla, un carattere, senza mai sentirsi sminuito. Poteva dare la voce ai documentari o ad attori meno bravi di lui, ma senza esitare, perché l’importante era recitare. Ha fatto più di cento film, ha doppiato anche John Wayne, in teatro ha cominciato a lavorare addirittura nel 1935, appena ventenne. E nel ’38, anche se non avrebbe potuto, continuò, semplicemente adottando uno pseudonimo abbastanza buffo: Puccio Gamma. Poi è andato avanti fino al 2008, instancabile, anno dopo anno, collezionando una media di due-tre spettacoli all’anno, tanto da sfiorare le duecento messe in scena, e nessuno probabilmente ha lavorato più di lui. A novantanni è stato ancora capace di portare in scena un monologo, “Novecento” di Baricco e di mettere in scena un nuovo testo “Oggi”, scritto da lui.

Perchè Foà è stato più di quello che si ha in mente. È stato anche poeta, scrittore, pittore, scultore: un amore per l’arte poliedrico e sconfinato. Anche all’interno di una vita che non è mai stata facile come ricorda, comunque con ironia, nella sua “Autobiografia di un artista burbero” pubblicata dalla Sellerio nel 2009. La madre, separatasi dal marito, si era portata via l’altro figlio, lasciando lui col padre, dicendogli: tu stai bene qui, sei proprio suo figlio. E così è stato in effetti.

Arnoldo Foà ha lavorato da giovanissimo nel negozio di ferramenta del padre, anche se il teatro era già la sua prospettiva. E non è stato tempo buttato. Ha imparato a conoscere gli uomini, le psicologie, quello che era essenziale per un attore. Perché un motto costante di Foà era che bisogna essere uomini per essere attori. Un uomo superficiale, che non ha vissuto, non sarà mai un attore, perché –diceva- per recitare un personaggio bisogna entrargli dentro, sentirlo addosso. E lui è entrato dentro una infinità di personaggi. È stato capace di passare dai classici al varietà con una assoluta scioltezza, con una leggerezza che gli ha reso possibile recitare con Orson Welles ma anche partecipare ad un paio di parodie sexy, di quelle che andavano di moda negli anni Settanta. Uno dei suoi ultimi film è stato quello di Antonello Belluco dedicato a Sant’Antonio. Aveva quasi novantanni ed era un credibilissimo Papa Gregorio IX. Piaceva a tutti Foà, aiutava anche i ragazzi che esordivano, si metteva in gioco. E lo ha fatto fino in fondo, fino alla fine.

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