È morto Paolo Barbaro l’ingegnere letterato

VENEZIA. L’ingegnere se ne è andato. È morto a Venezia, a novantadue anni, Paolo Barbaro, lo scrittore veneziano che ha fatto del suo mestiere di ingegnere il centro della sua attività di narratore. In questo senso se nella cultura italiana l’ “Ingegnere” con la I maiuscola è, per definizione, Carlo Emilio Gadda, libri alla mano bisogna riconoscere che nessuno come Paolo Barbaro ha raccontato con tanta costanza, con tanta precisione, anche con tanto amore, un lavoro che solitamente si vuole lontano dalla letteratura. Bastano pochi dati per accorgersene. Il primo romanzo di Paolo Barbaro, pubblicato nel 1966 da Einaudi, si intitolava “Giornale dei lavori” ed era una sorta di diario di cantiere.
Due anni fa, già molto anziano, Barbaro ha invece pubblicato con Marsilio “L’ingegnere”, che racconta l’incontro scontro tra un giovane ingegnere, il suo maestro, ancora il cantiere. In mezzo altri libri che hanno al centro una realtà, quella del cantiere, che Barbaro ha frequentato per gran parte della sua vita. Ennio Gallo, questo era il suo vero nome, in effetti è diventato Paolo Barbaro per non sovrapporre il suo ruolo di ingegnere a quello di scrittore, per evitare polemiche con chi gli dava lavoro.
Ma lo sdoppiamento di nomi non è mai stato sdoppiamento di interessi. Ennio Gallo ha percorso il mondo passando di cantiere in cantiere. Paolo Barbaro lo ha raccontato, spesso ricorrendo alla dimensione diaristica, a quel giornale dei lavori, appunto, che gli è sempre stato così caro.
E tuttavia oltre il cantiere due altri luoghi hanno dominato la scrittura di Barbaro. Uno è Venezia cui ha dedicato libri come “Lunario veneziano”, “Le ultime isole”, “La città ritrovata”. Barbaro non è nato a Venezia, ci è arrivato bambino, ma poi ci ha vissuto fino alla fine, quando non era impegnato nei cantieri. E ne ha scritto sia da ingegnere, affascinato dalla struttura e dalla convivenza con l’acqua, sia da veneziano autentico, innamorato della storia della sua città. Il terzo luogo è la campagna, per la precisione la campagna tra Padova e Vicenza, la campagna intorno a Mestrino in cui Paolo Barbaro, o meglio Ennio Gallo, è nato.
Il suo ultimo libro “Cari fantasmi”, uscito pochi mesi fa da Marsilio, racconta ancora una volta di questo mondo, che è stato quello dell’infanzia, ma anche costantemente quello del ricordo, del ritorno, come racconta anche in un altro libro, questa volta degli anni novanta, “Ritorno ai Ronchi”: la campagna dimenticata, alterata, distrutta, il contrasto tra modernità e conservazione, l’ambiguità di un progresso che produce rifiuti che ci sommergeranno, come Barbaro racconta in un altro libro importante “L’impresa senza fine”. Paolo Barbaro è stato scrittore isolato, precocemente sensibile ai temi ambientali, poco incline alla comunità letteraria perché di mestiere faceva altro. Eppure per ben tre volte è stato selezionato nella cinquina del Campiello. La prima volta, nel 1976 con “Le pietre, l’amore”. La seconda, nel 1987, con “Diario a due” che è forse il suo libro più importante. La terza volta con “La casa con le luci” nel 1995. In pratica una volta ogni dieci anni, segno di una carriera letteraria che non ha subito alti e bassi e che in cinquant’anni ha prodotto una ventina di libri, tutti molto personali, molto sentiti, legati a esperienze di vita non eclatanti ma capaci di trasmettere un senso compiuto dell’esistenza e dei sentimenti. E anche della morte, come racconta nelle ultime pagine di “Cari fantasmi”: una morte che non è solo quella delle persone, ma anche dei luoghi, delle cose, dei ricordi.
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