«Ecco cosa pensano e memorizzano i neonati»

Francesca Simion, docente di Psicologia, da trent’anni ne studia i comportamenti
Cosa comprendono i neonati del mondo che li circonda? La risposta è il frutto di decenni di ricerche iniziate qui a Padova quando ancora si pensava al neonato come a una pura entità biologica, in grado soltanto di fornire risposte riflesse a bisogni elementari. Era la metà degli anni Settanta e Francesca Simion, professore ordinario di Psicologia dello sviluppo cognitivo, interrogandosi sull’origine dell’intelligenza sociale, cominciò a registrare le reazioni dei neonati a determinati stimoli. «Erano studi pionieristici», dice con la passione di chi a quella ricerca ha dedicato trent’anni di lavoro. Non è stato facile e non lo è tuttora».


Come avete cominciato la ricerca?


«All’inizio il mio lavoro è stato possibile grazie alla collaborazione del professor Franco Zacchello. Ora le ricerche continuano grazie alla lungimiranza del direttore dell’Uoc di Terapia intensiva e patologia neonatale Eugenio Baraldi, del direttore del Dipartimento della salute della donna e del bambino Giorgio Perilongo e della responsabile del nido Beatrice Dalla Barba nonché di tutti i genitori».


Come si sviluppa il vostro lavoro?


«Il nostro staff conduce le ricerche sui neonati da 0 a 3 giorni in un piccolo laboratorio ricavato all’interno del puerperio, con i tempi contingentati dalle esigenze del personale medico con cui condividiamo la stanza. Successivamente i dati registrati al nido vengono elaborati al Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione, dove vengono condotte anche indagini sui bambini da 3 a 9 mesi».


Ma qual è l’obiettivo che vi siete prefissi?


«Sono partita dalla convinzione che il neonato fosse un sistema dotato di competenze. In questi anni e ancora oggi esploriamo queste dotazioni presenti sin dal momento in cui il bambino apre gli occhi all’ambiente esterno. Abbiamo dimostrato che il neonato possiede una memoria di riconoscimento e un’attenzione guidata dagli stimoli provenienti dall’ambiente fisico e sociale fin dalle prime ore di vita».


Quando ha cominciato questo studio c’era già una letteratura scientifica sull’argomento?


«C’erano degli studi sui pulcini che derivavano dalle ricerche di Marc Johnson del Birkbeck College di Londra, con il quale pubblicai uno studio nel 1996. La ricerca da noi condotta a Padova ha dimostrato la predisposizione dei neonati a riconoscere la configurazione di un volto e a seguirla negli spostamenti, mentre la loro attenzione crolla se la posizione degli occhi e della bocca sono invertiti. Nel 1997, insieme a studiosi inglesi e francesi, ottenemmo dall’Unione europea un finanziamento per un progetto sull’origine dell’intelligenza sociale. Abbiamo dimostrato che il neonato preferisce mantenere l’attenzione su stimoli che possiedono determinate caratteristiche, come il volto dritto a quello invertito e lo sguardo diretto a quello orientato. Quello che abbiamo dimostrato è l’esistenza di una competenza sociale nel neonato oltre alla presenza di funzioni cognitive di base».


Quali sono i possibili sviluppi di queste ricerche?


«Grazie alla banca dati che abbiamo elaborato, possiamo trovare indicatori utili alla valutazione dei fattori di rischio in fasi molto precoci ad esempio per i bambini pretermine o per i fratellini di quelli affetti da disturbi dello spettro autistico».


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