Ecco il motore dei terremoti, ricercatore di Padova studia le faglie e scopre il lubrificante
La ricerca pubblicata sull'ultimo numero di "Nature". Premiato un nuovo approccio: riprodotte in laboratorio le condizioni di deformazione raggiunte durante una scossa

Giulio Di Toro
PADOVA. Prevedere un terremoto oggi è impossibile, ma uno studio dell'Università di Padova apre nuovi scenari per poterlo fare in futuro. A sviluppare la ricerca, pubblicata oggi dalla rivista specialistica ''Nature'', è stato Giulio Di Toro che attraverso l'utilizzo di particolari macchine sperimentali ha studiato i terremoti con un approccio totalmente diverso da quello sismologico che sviluppa le conoscenze in base alle sole onde e quindi ai suoni delle scosse.
La spiegazione di un terremoto è relativamente semplice nella sua pura “meccanica”. Il moto relativo delle placche terrestri carica progressivamente le rocce della crosta come delle gigantesche molle. Quando le rocce non sono più in grado di sostenere queste spinte si rompono lungo delle superfici chiamate faglie e l’energia elastica caricata dalle rocce nell’arco di centinaia di anni viene rilasciata in pochi secondi attraverso l’emissione di onde elastiche. Queste ultime sono emesse sia durante la propagazione della rottura (che avviene a chilometri al secondo) che durante lo sfregamento delle masse roccia (che avviene a velocità di qualche metro al secondo).
Per Di Toro oggi i terremoti vengono studiati così come si ascolta un motore, quindi deducendo potenza, velocità e direzione attraverso i suoni. Con il metodo avviato a Padova si cerca invece di "guardare" il motore, ovvero le caratteristiche di pistoni, bielle e altro, in modo da capire la macchina terremoto e conoscere in modo completo il suo funzionamento.
Il gruppo coordinato dal Di Toro unisce studiosi italiani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma e di altre università giapponesi, cinesi, coreane e britanniche, ha analizzato i risultati di esperimenti effettuati con particolari macchine sperimentali negli ultimi dieci anni. In questi esperimenti vengono riprodotti in laboratorio le straordinarie condizioni di deformazione raggiunte durante un terremoto (velocità di spostamento di diversi metri al secondo, pressioni pari a diversi chilometri di crosta, spostamenti fino a una decina di metri).
«Viene dimostrato, grazie al lavoro del nostro gruppo di ricerca – dice Giulio Di Toro - che il calore prodotto dall’interazione delle superfici in profondità nella Terra è in grado di fondere la roccia o di scatenare reazioni chimiche che complessivamente lubrificano la faglia. Questo risultato da una parte scuote le conoscenze consolidate sulle proprietà delle rocce, che prevedevano un attrito circa dieci volte superiore a quello misurato negli esperimenti, e dall’altro giustifica diverse osservazioni sismologiche. Per esempio, la lubrificazione delle faglie durante un terremoto può giustificare gli straordinari spostamenti e dimensioni del terremoto di magnitudo 9 dell’11 marzo di Sendai. In questo caso, masse grandi come metà della nostra penisola, sono state spostate fino ad una decina di metri, sollevando di diversi metri il fondo dell’oceano, mettendo in movimento la colonna d’acqua sovrastante e quindi generando il terrificante tsunami che ha spazzato via la costa orientale del Giappone».
Un altro aspetto interessante è che questi apparati sperimentali progettati specificatamente per studiare la fisica e la chimica di un terremoto, sono e saranno impiegati anche per lo studio delle frane e di processi di frammentazione e usura di interesse industriale.
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