Epilessia, a Padova nasce il centro per la chirurgia

Attivato in Clinica Neurologica, è il terzo in Italia dopo Milano e Roma e sarà riferimento per il Nordest. Già otto interventi eseguiti con successo

PADOVA. 

Ora anche a Padova c’è la possibilità di sottoporsi all’intervento chirurgico per guarire dall’epilessia. Una opportunità che nella Clinica di Neurologia dell’Azienda Ospedale- Università di Padova trova risposta nel Centro per l’epilessia che dalla metà del 2019 ha iniziato i primi interventi - già otto i bimbi guariti - inaugurando così il primo Centro di Chirurgia per l’epilessia del nordest. La chirurgia resettiva permette di guarire dall’epilessia migliorando in maniera decisiva la qualità di vita. Negli ultimi 20 anni i pazienti perlopiù pediatrici, seguiti e selezionati dall’equipe del Centro avanzato Lice per la diagnosi e cura dell’epilessia della Clinica Pediatrica di Padova, venivano avviati per essere sottoposti all’intervento in uno dei due grandi poli di riferimento italiani: il Centro Munari dell’ospedale Niguarda di Milano e l’ospedale Bambino Gesù di Roma.

Il centro padovano

Prima a Grenoble, in Francia, e poi al Niguarda, Concetta Luisi lavora da due anni a Padova come referente del Centro per l’epilessia dell’Azienda ospedaliera universitaria, mantenendo con i due centri un rapporto di stretta collaborazione. «La chirurgia dell’epilessia è un’opportunità terapeutica per le persone con epilessia» rileva la specialista, «abbiamo ormai un’ampia letteratura scientifica che lo dimostra. Padova grazie a un’equipe multidisciplinare di eccellenza ha tutte le potenzialità per essere centro di riferimento per il nordest. Ed è questo un messaggio da far passare a famiglie e neurologi: ci si può operare anche a Padova». Dopo un periodo di stop, causato dalla pandemia da Coronavirus, anche l’attività chirurgica contro l’epilessia riprende a pieno regime.

Bambini candidati ideali

L’intervento chirurgico per guarire dall’epilessia è indicato a chiunque soffra di epilessia focale, tuttavia, trattandosi di un’operazione particolarmente delicata, viene effettuata prevalentemente su pazienti farmacoresistenti, persone che non rispondono, o solo in parte, alla terapia farmacologica. «Questo non esclude che si possa operare anche un paziente non farmacoresistente, conta moltissimo la motivazione della persona» sottolinea Luisi, «siamo intervenuti su pazienti di età diversa, ma il candidato ideale è il bambino: la sua storia di malattia è più breve, così come l’assunzione di farmaci. Intervenire precocemente è la soluzione migliore per garantire più probabilità di successo».

L’intervento

L’operazione è solo la parte finale di un percorso diagnostico che prevede esami approfonditi quali video-elettroencefalogrammi di lunga durata, risonanze magnetiche e Pet (tomografia ad emissione di positroni). È fondamentale la valutazione del tipo di danno cerebrale per stabilire se il paziente può essere operato. Bisogna infatti asportare la regione del cervello da dove partono le cris: se è ben individuabile e abbastanza “lontana” da regioni responsabili di funzioni primarie come il linguaggio e il movimento, l’intervento si può effettuare perché i benefici superano gli inevitabili rischi. Questo vale per la chirurgia resettiva che porta alla guarigione in una gran parte di casi. Esiste anche una chirurgia palliativa, che punta, attraverso metodi di stimolazione cerebrale o interventi chirurgici più demolitivi, a ridurre le crisi del paziente, pur non eliminandole completamente. —


 

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