«Errore di persona» C'è una pista veneta nel sequestro Orlandi

Emanuela Orlandi e le copertine dei nuovi libri dedicati al suo misterioso rapimento
Emanuela Orlandi e le copertine dei nuovi libri dedicati al suo misterioso rapimento
L a pista veneta per il rapimento di Emanuela Orlandi era stata lanciata due anni fa dal figlio di Roberto Calvi. Riprende fiato ora con due libri che sottolineano con forza un'anomalia che riguarda la condotta del Vaticano. Il primo è pubblicato da una casa trevigiana, EdizioniaNordest, per la quale il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, e il giornalista Fabrizio Peronaci hanno scritto Mia sorella Emanuela. Sequestro Orlandi: voglio la verità. Un libro che ha suscitato vivaci reazioni.  E ha contribuito a riaprire nuovamente il caso, con l'ipotesi della segregazione della ragazza rapita, ormai quasi trent'anni fa, in una clinica inglese. Ma alla casa editrice di Villorba sono arrivati anche altri messaggi che suggeriscono nuove piste per un caso che rischia di non esser mai chiuso, per l'incredibile intreccio di indizi spesso contrastanti. E sulla pista veneta torna anche uno dei magistrati che si è occupato del caso Orlandi, Ferdinando Imposimato, autore, con il giornalista Sandro Provvisionato, di Attentato al Papa, edito da Chiarelettere.  Di che si tratta? Per capirlo bisogna leggere la testimonianza di Raffaella Gugel, rilasciata a Miane circa l'anno dopo il rapimento. Raffaella Gugel è la figlia di Angelo Gugel, il trevigiano che è stato aiutante di camera di Papa Luciani e poi di Giovanni Paolo II. Raffaella racconta agli inquirenti che nei giorni precedenti il sequestro Emanuela Orlandi, aveva notato almeno un uomo che sembrava seguirla. Non solo, riferisce anche che i suoi genitori l'avevano avvertita, prima del rapimento, di fare molta attenzione in giro per Roma, perché c'era il pericolo che fosse rapito un dipendente del Vaticano, o un suo familiare, in vista di una trattativa per liberare Alì Agca. Dietro questi moniti c'era un altro veneto, Camillo Cibin, di Salgareda, che ricopriva la carica di comandante della Gendarmeria pontificia.  Anche le figlie di Cibin erano state avvertite della possibile minaccia, mentre fu ignorata la famiglia Orlandi e l'accusa rivolta da Pietro Orlandi alle autorità vaticane è amara: «Nessuno ci parlò dell'allarme rapimento, di cui le alte sfere erano informate». L'allerta era partita dai servizi segreti francesi ed era stata preso molto sul serio. La stessa Raffaella, nella sua testimonianza rivela, con un certo imbarazzo, di essere stata diffidata dai genitori dal riferire a chicchessia la vicenda. In realtà quello che gli inquirenti sospettarono fu uno scambio di persona. Lo intuì vagamente Gianpaolo Gusso, impiegato della Città del Vaticano nativo di Caorle, che incontrando Angelo Gugel pochi giorni dopo il rapimento gli disse grosso modo: sei stato fortunato, perché se avessero rapito Raffaella avrebbero centrato l'obiettivo. E così deve aver pensato anche Angelo Gugel, tanto che rimandò in Veneto le figlie e le invitò anche a tagliare i capelli, per allontanare ogni rassomiglianza con Emanuela Orlandi.  Se il libro di Emanuela Orlandi punta in questa direzione, anche perché Raffaella ed Emanuela uscivano talvolta insieme, quello di Imposimato mette in campo anche un'altra possibilità e cioè che l'obiettivo potessero essere le figlie di Camillo Cibin ed indica anche un possibile palo dell'intera operazione. I sospetti cadono su Eugene Brammerts, un monaco che lavorava per l'«Osservatore Romano» a due passi dall'abitazione degli Orlandi e dei Gugel, ed il cui nome verrà scoperto in documenti della Stasi; ma un ruolo potrebbe averlo avuto anche Alois Estermann, capo delle guardie svizzere, assassinato molti anni dopo in un nuovo mistero vaticano.  Cosa dimostra tutto questo? Difficile ricavarne un senso complessivo, ed infatti la magistratura si è limitata ad esprimere perplessità sui comportamenti di molti dei protagonisti di questa vicenda. Pietro Orlandi è convinto che la sorella sia stata rapita per errore: «Mi dispiace per Raffaella, che è anche amica mia. Immagino la paura che ha avuto dopo il rapimento, la sua sofferenza, forse i sensi di colpa nel sentirsi dire che era miracolata». Ma nel contempo rimane il dubbio sul mancato avvertimento, sul ritardo con cui questa pista fu aperta, sul perché fu immediatamente chiusa e ripresa solo molti anni dopo. E forse allora ha ragione Imposimato quando invita il Papa a fare chiarezza in modo definitivo su quel che il Vaticano sa e ha sempre saputo, ma probabilmente, in nome della ragion di Stato, ha scelto di tacere.

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