Fallimento della Met I sindacati accusano «Cattiva gestione»

Italservice, proprietaria della griffe, da 130 dipendenti alla chiusura. Cgil e Cisl: «Scelte  sbagliate, gravi conseguenze pure per gli artigiani del tessile»

SAN PIETRO IN GU

Non ci saranno più i jeans della Met di San Pietro in Gu sul mercato. Aveva raggiunto i 130 occupati, a giugno ha chiuso e il 20 agosto è stato dichiarato il fallimento. «Cattiva gestione, fallimento evitabile»: questo il j’accuse di Cgil e Cisl.

c’era una volta

Le tappe di una storia di eccellenza dell'Alta: nel 1993 Moreno Giuriato fondò la Italservices, quattro anni dopo entrò a far parte del gruppo di lavoro Eugenio Schiena, uno dei maggiori esponenti della “denim community” in Europa. Dall’incontro nacque il marchio di punta dell'azienda, "Met" appunto. Anni importanti: i dipendenti dell'azienda raggiungono la punta massima di 130 unità, il fatturato supera i 100 milioni di euro. Dal 2012 il declino, a giugno lavoravano 55 persone. «A fine maggio di quest'anno», osservano Luca Rainato (Filctem Cgil) e Raimondo Rettore (Femca Cisl), «sembrava, dopo anni di crisi finanziaria, che la produzione potesse essere rilanciata da una NewCo: un'imprenditrice proveniente dalla Turchia specializzata nel settore denim avrebbe rilevato tutto il reparto stile, salvando una parte delle professionalità. Dieci persone sono effettivamente passate alla nuova azienda, ma hanno ricevuto solo lo stipendio di giugno. E non essendo state destinatarie di una lettera di licenziamento, non sono neppure nelle condizioni di chiedere l'assegno di disoccupazione»

cosa non ha funzionato

Cosa non ha funzionato? «Il fallimento non era inevitabile, tutt'altro: è frutto di una cattiva gestione, scelte aziendali sbagliate e una gestione allegra delle finanze». Un problema che «colpirà l'indotto fatto di piccoli artigiani del settore tessile come stirerie, finissaggi, lavanderie. Non solo perderanno le commesse di Italservice, ma faticheranno a riscuotere i loro significativi crediti che non sono stati ancora liquidati. Il che potrebbe avere conseguenze sui loro livelli occupazionali e altri lavoratori potrebbero rimanere senza le risorse per far vivere le loro famiglie».

i sindacati denunciano

Cgil e Cisl sottolineano come le prime vittime siano «i lavoratorie» e alzano il livello di allarme: «Tra delocalizzazioni, come nel caso della Exo, fallimenti, riduzioni del personale, fatichiamo a considerare passata la crisi economica. Anche perché, quando i posti di lavoro vengono sostituiti, le nuove assunzioni sono caratterizzate da bassi salari e precarietà. Se non si torna ad una politica industriale e di investimenti all'altezza della sfida che ci pone la rivoluzione tecnologica digitale, se non si punta sulla qualità dei prodotti e sulla valorizzazione della professionalità dei lavoratori, continueràa indebolirsi il tessuto produttivo e aumenteranno le fasce di popolazione in difficoltà», concludono Rainato e Rettore. —

Silvia Bergamin

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova