Fallimento della Realto di Veggiano, tutti assolti: nessuna bancarotta fraudolenta

VEGGIANO. Nessuna bancarotta fraudolenta. Nessun reato. È arrivata l’assoluzione per i quattro imputati perché “il fatto non sussiste”.
Un’assoluzione piena pronunciata ieri dal tribunale di Padova nei confronti dell’ex amministratrice unica di Realto srl Lucia Bottaro, 53 anni di Vicenza, con il fratello Vincenzo, 52 di Rubano; Diego Fiatto (marito di Lucia), 58, e Pia Ruggieri, 79 di Rubano, madre dei due fratelli. I guai iniziano con il fallimento di Realto, che aveva sede a Veggiano, in via Mestrina. Il 16 dicembre 2014 c’è il crac per la ditta, specializzata nel commercio di articoli tessili e accessori per il bagno. Costituita nel 2000, con la crisi che travolge l’edilizia per Realto i problemi diventano ingestibili giorno dopo giorno. Ovviamente si tenta il tutto e per tutto. Tanto che nel 2011 c’è il tentativo di salvataggio dell’azienda con la nomina di un liquidatore.
Ma l’impresa non ce la fa a superare quel momento e il 16 dicembre 2014 il tribunale dichiara il fallimento e nomina nella veste di curatore il commercialista Riccardo Bonivento.
La fine dell’attività provoca anche il licenziamento di una decina di lavoratori, mentre iniziano i guai giudiziari per gli amministratori (i fratelli Bottaro) e non solo (i due familiari accusati di concorso negli stessi reati che saranno loro contestati). La procura apre un’inchiesta ipotizzando diversi episodi di bancarotta per una somma di oltre 350 mila euro. In particolare attraverso l’uso di altre società come Vittoria Tessile srl (il cui amministratore unico era Fiatto marito di Lucia Bottaro); Mirtillo snc di Pia Ruggieri, e poi Airone sas e la Marbero srl.
Qualche esempio? Si contestava a Fiatto di aver eseguito lavorazioni per conto di Realto a prezzi superiori a quelli praticati da altri fornitori mentre alla madre dei fratelli Bottaro, in qualità di socia di Mirtilli snc e Marbero srl, di aver concesso in licenza a Realto l’uso di marchi di cui la figlia-imprenditrice non aveva alcun interesse reale, ma superpagati (fino a un corrispettivo annuo di 200 mila euro). Nulla è stato dimostrato nell processo che, al contrario, ha svelato come l’operato degli imputati sia stato corretto. Il risultato? Mai si sono verificate distrazioni di fondi sottraendoli al fallimento e, di conseguenza, ai creditori. —
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