Felice Maniero, il Presidente e lo strano rapporto d'affari con i "sandonatesi"
Silvano Maritan temeva "il biondino di Campolongo" e davanti a lui non alzava mai la voce. I mafiosi del Brenta e i soldi a palate sulle spiagge jesolane, lasciando ai locali (poche) briciole. Ma nessuno doveva sapere

Felice "Felix" Maniero e Silvano Maritan, detto "il Presidente"
SAN DONÀ. Quello di “Presidente” era il soprannome che Felice Maniero preferiva. «Uno intelligente», spiegava, «con cui non bisogna mai alzare la voce perché si arriva sempre alla sostanza». E la sostanza era il controllo della zona delle spiagge, quella dove Felix e la mafia del Brenta fecero i miliardi, riversando tanta di quell’eroina da costringere (caso unico) mafia e camorra a fare un patto per il rifornimento e a dare l’autorizzazione a una fornitura extra assicurata dalla mafia turca.
Perché già il “Presidente”, alias Silvano Maritan, assieme al fratello Lino aveva iniziato qualche anno prima a prendere poco a poco il controllo dei pochi affari che c’erano. Qualche protezione, qualche furto, la prima droga, finché, nel 1980, si era trovato alla porta quel biondino dall’aria smaliziata di Campolongo assieme al gigante “dall’aria cattiva impestata” che lo accompagnava, Antonio Pandolfo, o “Mario grosso” come lo chiamavano i suoi. E aveva subito capito che era meglio venire a patti.
«Nessun problema», era la frase che Maritan ripeteva. Lui i posti li conosceva bene, Felix no. Lui le persone le salutava a una a una e sapeva tutto delle loro famiglie, dei loro affari, confessabili o meno, dei loro punti deboli. Felix no. Quindi l’accordo era stato naturale. Felix portava il veleno iniettabile con cui si è fatto i soldi ammazzando migliaia di ragazzi veneti e gettando nella disperazione le loro famiglie, e il presidente amministrava. Felix voleva capire come arrivare a controllare un posto: "Nessun problema", il Presidente lo spiegava e i "rivieraschi" agivano.
In realtà la “sostanza”, i talleri, andavano quasi tutti al biondino di Campolongo e ai suoi uomini. Ai Maritan restavano le briciole. Poche oltretutto, perché anche le bische, che Maritan proteggeva, erano state riorganizzate da Maniero secondo i metodi di Ottavio Andrioli: diventare fonte d’informazioni e punti di riciclaggio di denaro. Tanto in una bisca il banco vince sempre. I sandonatesi assicuravano la loro presenza, poco più di buttafuori, quindi.
Ma il “Presidente” non si lmentava mai e, soprattutto, non lo faceva trapelare. Per tutti era il “socio alla pari”, il “braccio destro” di Felix e dei suoi uomini così spietati che si uccidevano tra loro appena qualcuno sgarrava.
Non importa se l’altra banda con cui Maniero è venuto a patti, quella dei “mestrini” di Gilberto Boatto, Roberto Paggiarin, Gino Causin, Paolo Tenderini e Paolo Pattarello, continua a sbuffare. Anche loro avevano messo gli occhi su Jesolo, ma Maniero è stato più veloce e furbo. Ora i mestrini sanno che il "Presidente" è intoccabile. In cambio ottengono il controllo della zona di piazzale Roma e della stazione a Venezia, sottraendola all'egemonia dei fratelli Rizzi, la banda veneziana con cui Maniero gestiva il suo impero economico in laguna fondato su alberghi, agenzie di servizi turistici e controllo dei cambisti del casinò.
Non importa se tutti i "duri" del gruppo di Campolongo, Giulio Maniero (cugino di Felix), Costante Carraro, Fausto Donà, Gianni Barizza, Zeno Bertin, Gilberto Sorgato e, soprattutto, “Marietto” Pandolfo, iniziano incredibilmente a fare vacanze rilassanti a Jesolo e tenere tutto sotto controllo, lasciando lui a girare a vuoto in decapottabile e chiamandolo quando vogliono.
No, per il mondo è lui, il “Presidente” quello che va a cena con Felix e poi a bere qualcosa nelle discoteche jesolane, il suo rappresentante.
Un’aura di potenza che in realtà è per buona parte riflessa. Ma gli affarucci che poteva portare avanti assieme allo spaccio in conto terzi il Presidente sapeva farli bene, meglio dello stesso Ottavio Andrioli, che infatti viene fatto fuori su ordine di Maniero nel 1983 a Eraclea. Il presidente si accontenta e ha ragione perché ha visto lungo: la protezione, le estorsioni, le donne, il contrabbando sono fioriti come non mai. I suoi uomini lavorano e sono contenti. Non importa nemmeno se lui, nel 1991, finisce dentro. La galera, la "keba", fanno grado. Sa che uscirà di lì a poco.
Fino al giorno strano, il 12 novembre 1994, quando Felix viene mostrato dalla polizia nella sala stampa della questura di Torino, dopo il suo strano arresto seguito all’ancora più strana evasione dal carcere Due Palazzi di Padova.
Pochi giorni e il biondino sta già collaborando, svendendo tutti, tranne i parenti più stretti. Gli amici, i “fradei” li vende tutti e prima di tutti il “Presidente”.
Che però non alza la voce. Accusa Maniero con lettere ai giornali e i suoi anni di galera se li fa tutti, senza mai parlare con la legge, senza mai infangarsi, nulla. Un vero presidente.
Ma attorno tutto crolla. L’unica cosa che i suoi sanno fare è quello che hanno fatto finora, ma non hanno mai fatto il salto: non sono e non saranno mai dei "capi".
E quindi si continua, ma gli albanesi prima e i casalesi poi sono più forti, ancora più cattivi di Maniero. Anche questa volta il gruppo dei Maritan arriva a fare quello che sa, si rifornisce con un canale privilegiato per smerciare dall'altra nelle proprie zone.
Ma sono presi male. Donadio controlla tutto, anche la vendita del camioncino dei Maritan. Nel 2012 Luciano Maritan, il nipote del presidente, viene così assunto a termine dal Comune di San Donà come guardiaparchi. La gente ride: lo spacciatore andrà a cacciare gli spacciatori dai giardinetti dove giocano i bambini. Ne nasce un processo a carico dell’allora sindaca Francesca Zaccariotto, processo da cui lei ne esce pulitissima “perché il fatto non sussiste”, ma Luciano no: ora tutti sanno che lui per campare ha problemi, che cerca “il contante miserrimo”, che può anche non fare paura.
Come se non bastasse anche il Presidente torna dentro: nel novembre 2016, apena uscito dal carcere di Belluno e inviato in casa famiglia a Feltre, ottiene un permesso per andare a San Donà, ma viene affrontato da Alessandro Lovisetto, il suo vecchio sodale, in piazza Indipendenza, davanti a tutti, per una questione di donne. Maritan però si difende e lo uccide. Per questo il 6 febbraio 2019 viene condannato a 14 anni e rinchiuso in carcere assieme ai sogni di ricostituire la “repubblica dei Maritan” nel Basso Piave.
E la storia quindi si ripete. Luciano e il papà Lino (fratello di Silvano) tornano al piccolo cabotaggio. Secondo i carabinieri chiedono soldi a destra e a manca per comprare droga e piazzarla. Secondo i loro difensori no. Ma anche quello dello spaccio è un mestiere duro, fatto di testa e di botte per chi non paga. E non tutti hanno più rispetto per l’ex guardiaparchi, quindi non pagano. Di qui le estorsioni, gli incendi e l’inevitabile ritorno in “keba”.
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