Feltri contro Bitonci: «Una prova di debolezza che certifica la sua incapacità»

Palazzo Moroni vietato ai giornalisti: "È un problema che hanno molti amministratori locali. Siccome non possono prendersela con la realtà allora si accaniscono con chi la racconta"
Alessandro Sallusti e Vittorio Feltri durante l'incontro: "Festa per il caro amico Silvio - Libera adunata dei servi del Cav." , oggi 8 giugno al Teatro Capranica a Roma. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Alessandro Sallusti e Vittorio Feltri durante l'incontro: "Festa per il caro amico Silvio - Libera adunata dei servi del Cav." , oggi 8 giugno al Teatro Capranica a Roma. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

PADOVA. «È un problema che hanno molti politici e molti amministratori locali. Siccome non possono prendersela con la realtà, con le cose che non vanno come vorrebbero loro, allora si accaniscono con chi le racconta in modo sgradito». Vittorio Feltri, da due mesi (di nuovo) al timone di Libero, va dritto al cuore della questione, senza giri di parole. «I divieti del sindaco Bitonci sono una prova di debolezza e di insipienza», attacca. «È l’autocertificazione di un fallimento».

Direttore, ci spieghi meglio.

«Prima di tutto in questa storia io ci vedo una grossa incapacità di capire in che mondo viviamo. Non ha nessun senso attaccare chi descrive le cose. È un po’ come prendersela con uno specchio perché riflette qualcosa che non ci piace. Noi giornalisti abbiamo il compito di descrivere, di raccontare i fatti. Ci siamo, lavoriamo, funziona così, non è che lo si scopre oggi, il sindaco dovrebbe sapere come funziona».

Ci sono sindaci a cui piace scegliersi la stampa amica. E che non sanno accettare le voci critiche.

«E questo non è accettabile. Però attenzione: in tutte le categorie ci sono mele marce. Se ci sono giornalisti che imbrogliano, che stravolgono i fatti e la realtà, ci sta anche una risposta di qualche tipo. Ma in questo caso mi pare una generalizzazione che non regge nessuna motivazione. Quello preso da Bitonci è un provvedimento che colpisce tutti allo stesso modo».

 

 

E che calpesta il principio della libertà di stampa...

«È una manifesta limitazione della libertà, certo. Non si è mai visto che si debbano fare pratiche per entrare in un municipio. Io trovo che sia anche una prova di disprezzo per l’opinione pubblica. Il municipio è un luogo simbolico, ostacolarne l’accesso ha un significato molto forte».

Alla prova pratica, il provvedimento sembra già di difficile attuazione. Ma com’è possibile pensare ancora a questo tipo di divieti?

«È per il motivo che dicevo prima. Uno sa di non essere del tutto a posto, sa di aver sbagliato qualcosa e allora non gli piace essere raccontato».

È una forma di censura che crediamo sempre superata e invece si ripresenta, ogni tanto. Come mai?

«Non imparano mai, è vero. Purtroppo ne sentiamo tante. Ci ricascano di continuo. In parte è anche un problema legato all’incapacità di molti amministratori locali, e di molti politici, di comunicare adeguatamente. Non riuscendo a trasmettere una loro idea, cercano di ostacolare il racconto di chi presenta la realtà come a loro non piace».

Quindi, come giudica questa iniziativa?

«Come l’autocertificazione della propria incapacità, della propria debolezza e della propria insipienza».

 

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