Fenomenologia della canna, perché ci si dimentica dei consumatori

Non passa giorno che salga alta la lamentazione di residenti dei vari quartieri: qui si spaccia, c’è gente che vende, è tutto un via vai di persone, pare di essere al mercato di sabato. E di certo vero sarà, e non è un bel vedere né una bella convivenza. Sono tanti, gli spacciatori, la domanda cresce sempre. Appunto, la domanda. Ché se non c’è quella, niente offerta: è la prima regola del libero mercato.
Pare che siano dei marziani quelli che vanno a comperare il fumo, cocaina o eroina, per non parlare delle altre droghe sintetiche di nuove generazioni, che ogni sei mesi ce ne sono di nuove.
Non si parla degli acquirenti, che sono padovanissimi doc, e in teoria figli o nipoti di quegli stessi che si lamentano. Quelli del centro vanno probabilmente in periferia, per non farsi riconoscere, quelli della periferia in centro per gli stessi motivi, senza contare che a volte sono gli stessi genitori, quelli cresciuti in discoteca, ad andare a fare acquisti.
Le canne, limitiamoci a queste, sono trasversali alle generazioni. Ci sono mamme e papà integerrimi, insegnanti, dipendenti di banche e giù di lì, che sono avvezzi alle canne. Chi può ne coltiva poca, per uso personalissimo, gli altri se la comprano, giro su giro e alla fine qualcuno che va a comperarla nei quartieri più suk c’è. Che poi un po’ la regala, un po’ se la tiene per condividerla con gli amici e un po’ per pipparsela da solo qualche sera e fare sogni d’oro meglio che con la Bonomelli. Quindi anche loro clienti.
Certo, con i figli non si scherza, e la faccenda è vietata ma se si tratta di fumo con un filino in più di tolleranza, soprattutto se i figli sono giovani ma non giovanissimi. Non sarà la regola comune ma non è nemmeno la più rara delle eccezioni.
Ciò non toglie che l’insegnante che va di canne non sarà morbido con gli alunni adolescenti che arrivano in classe odorosi come un campo di marijuana, controllerà come gli altri, ne parlerà, prenderà provvedimenti, ché a quell’età non è cosa. Anche se è proprio a quell’età che la maggior parte dei ragazzini fuma i suoi primi spinelli, con lo spacciatore che vende a due passi da scuola, dall’oratorio, dallo stadio. Per non parlare delle discoteche.
Così può capitare che dallo stesso Ahmed, sempre in bici pronto a vendere, ci vadano sia il papà che i figli, il papà che conosce la faccenda, i figli che magari il mese dopo cercano di sballarsi con qualcosa di più forte, perché l’amico e l’amica lo fa già. Mica è la regola, per carità, ma ce ne sono parecchi a riempire gli studi degli specialisti psico tutto.
E non è ancora finita, perché esistono anche i nonni, i settantenni e dintorni, che negli anni ’60 o ‘70 rollavano come matti, mettici pure la contestazione e il viaggio della conoscenza in Oriente che per lo più era di conoscenza dei vari tipi di fumo. Non tutti se li sono messi via, quei tempi e quelle abitudini, ce ne sono che magari non fumano sigarette ma allo spinello non rinunciano. Meglio del Tavor.
Non roba da ossessi, una cosa misurata, ma con brio, chi rifornendosi dall’amico che abita in campagna e ha quel pugno di piantine che servono, chi, magari per interposta persona, finendo dal solito Ahmed che rifornisce tre generazioni. Non ne fanno una bandiera, quei nonni, magari solo quel giusto di antiproibizionismo che ci sta, non si accendono il cannone davanti ai nipotini, ma ci sono anche loro a far girare la canna.
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