Fontaniva, svastiche davanti alla casa di ebrei

La coppia di anziani allerta i carabinieri: «Chi l’ha fatto non sa cosa evocano in noi questi simboli»
POLETTO - FOTOPIRAN - FONTANIVA - SVASTICA FAMIGLIA PORTALUPPI
POLETTO - FOTOPIRAN - FONTANIVA - SVASTICA FAMIGLIA PORTALUPPI

FONTANIVA. Due svastiche naziste sono state disegnate sul muro di un condominio di via Giovanni XXII. Una nella parete del corridoio interno, l’altra, più piccola, vicino alla porta d’ingresso della palazzina in corrispondenza del civico 3/16, dove vive un anziano di origini ebraiche.

Sono comparse a pochi giorni dalla Giornata della Memoria del 27 gennaio e proprio per questo suonano come un oltraggio ancora più pesante.

POLETTO - FOTOPIRAN - FONTANIVA - SVASTICA FAMIGLIA PORTALUPPI la signora Bruna
POLETTO - FOTOPIRAN - FONTANIVA - SVASTICA FAMIGLIA PORTALUPPI la signora Bruna

«Un’offesa che porta indietro nel tempo a drammatici ricordi», tuona Arsenio Portaluppi, 83 anni, da 8 residente a Fontaniva assieme alla moglie, 88, che venerdì sera ha subito presentato denuncia ai carabinieri di Cittadella. Non si sa chi e quando possa averle tracciate, ma sono partite le indagini.

A trovare le scritte è stato il figlio, che venerdì pomeriggio ha fatto visita ai genitori. «Com’è entrato in casa», racconta la mamma 88enne, «ha acceso la luce e visto la scritta sul muro interno, probabilmente fatta con il pennarello. Poi ci siamo accorti che un’altra era impressa vicino al portoncino d’ingresso. È stato un colpo al cuore».

La famiglia, che si è trasferita da Milano per avvicinarsi al figlio sposato a Fontaniva, non ha mai avuto problemi con nessuno. Mai prima d’ora era stata oggetto di discriminazioni e tanto meno vittima di atti xenofobi. «Abito qui da alcuni anni», racconta Portaluppi, «e mi sono sempre trovato bene con tutti. Non capisco questa ingiuria che fa male. Chi compie questi gesti non si rende conto di cosa può suscitare ed evocare. C’è ancora molta ignoranza e cattiveria. La storia dovrebbe insegnare che cosa hanno significato certi simboli. Qualche anno fa sono stato invitato a portare la mia testimonianza alla scuola Pierobon di Cittadella. Ho parlato della Shoah ai ragazzi, è stato un confronto bello e interessante. È giusto che le nuove generazioni conoscano, per non commettere gli stessi sbagli».

I ricordi gli tornano limpidi alla memoria: «Avevo uno zio fabbro a Milano e i fascisti sono entrati nel suo negozio. Hanno chiesto a cosa servisse il forbicione. “Diamine, per tagliare il ferro” ha risposto lui. Ma la loro domanda era solo una scusa: poteva dire ciò che voleva, sarebbe finito comunque sul treno per Dachau». Sempre a Milano c’era anche uno zio prete che è riuscito a mettere in salvo un sacco di persone dirette ai campi di concentramento tedeschi. «Ed ora, a distanza di anni», conclude amareggiato l’uomo che ieri ha informato anche il sindaco, «riaffiorano simboli di morte. È inaccettabile».

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