Garofano e potere: addio a De Michelis, il ministro craxiano delle grandi scelte

VENEZIA. La tempra del combattente, la malattia feroce che l’ha piegato dopo lunghe tribolazioni: ricoverato lunedì in stato d’incoscienza, Gianni De Michelis si è spento ieri all’alba all’ospedale Santi Giovanni Paolo di Venezia.
Aveva 78 anni e con lui scompare un protagonista dell’ultimo capitolo della Prima Repubblica, gli anni Ottanta della diarchia Craxi–Andreotti scanditi da una crescita prepotente dell’economia e dei consumi abbinata all’esplosione del debito pubblico e dall’apice di un sistema tangentizio destinato infine a cadere sotto i colpi di Mani Pulite.
Di questa stagione il veneziano fu attore di primo piano ed alcuni tra i suoi atti ministeriali – la privatizzazione della Montedison, il “decreto di San Valentino” che sterilizzò la scala mobile, la firma italiana al Trattato di Maastricht – appartengono alla storia recente del Paese.
«Detesto i bacchettoni»
Di famiglia acculturata e protestante («Detesto i bacchettoni bianchi e rossi»), cresciuto tra i cenacoli letterari animati dal fratello Cesare, l’editore della Marsilio, Gianni De Michelis privilegiava un approccio scientifico e anti-retorico (fu docente di chimica industriale a Ca’ Foscari) coltivando inizialmente simpatie monarchiche, missine e radicali salvo aderire all’ala socialista del movimento universitario Ugi, diventarne presidente e militare nella sinistra del Psi capitanata da Riccardo Lombardi.
Un legame spezzato nel 1976: nel drammatico comitato centrale del Midas, successivo al tonfo elettorale, l’emergente parlamentare veneziano dalla folta chioma bruna abbandona il vecchio segretario “marxista” De Martino e appoggia l’ascesa al vertice di un quarantenne milanese fautore dell’autonomia rispetto al “cugino” comunista, Bettino Craxi.
È l’inizio di un sodalizio che gli consentirà di scalare le più alte cariche del Governo nel segno del “pentapartito”, l’asse Dc-socialisti rafforzato da socialdemocrazia, Pri, liberali.
Duro scontro con il PCI
Primo ministro non democristiano alle Partecipazioni statali, dirige grandi flussi di risorse (utili ad infoltire la schiera di seguaci e clientes) licenzia il presidente dell’Eni e mette sul mercato il colosso della chimica pubblica, incluso il polo declinante di Porto Marghera.
Cambia l’assetto dei governi, nel simbolo centenario il garofano rosso scalza la falce e martello, De Michelis subentra a Claudio Martelli quale numero due del partito, approda al dicastero del Lavoro e taglia quattro punti di scala mobile: la misura, volta a contenere l’inflazione galoppante, scatena la furia del Pci che nel 1985 promuove un referendum abrogativo, bocciato però dagli elettori. Toni forti, da ambo le parti: se De Michelis individua nei comunisti il nemico da battere, il partito rosso lo addita come esponente della “nuova destra”.
«Un avanzo di balera»
Il grande balzo arriva a cavallo degli anni Novanta con la nomina a vicepresidente del Consiglio di Ciriaco De Mita e poi a ministro degli Esteri in un frangente destinato a cambiare il panorama internazionale, con la caduta del Muro, la prima Guerra del Golfo, la dissoluzione dell’Urss e il Trattato sull’Unione europea sottoscritto a Maastricht al quale apporrà la firma a nome di Roma.
Non solo politica, però. Al socialista rampante (che suggerì l’interpretazione di Nanni Moretti nel film “Il portaborse”) piacciono le donne, il buon cibo e soprattutto, a dispetto della corpulenza, il ballo: frequenta le discoteche, organizza feste dal tramonto all’alba (Enzo Biagi lo definirà «avanzo di balera») e fa uno sberleffo ai critici pubblicando una guida ai 250 migliori dancing.
Due matrimoni e altrettanti divorzi, cambia fidanzate di frequente, viaggia senza sosta, prova sempre a pensare in grande: nella sua fragile Venezia (dove battaglia con il sindaco Mario Rigo, compagno-rivale) vorrebbe addirittura allestire l’Expo universale 2000 ma la sollevazione unanime della cultura e dei movimenti civici lo costringe a desistere. Una sconfitta bruciante, prologo della tempesta destinata a decapitare la classe dirigente.
L’Expo 2000 bocciata
A partire dal 1992 Tangentopoli lo investe con 35 procedimenti, dai quali in verità, esce perlopiù assolto. Due le condanne definitive: un anno e 6 mesi per corruzione nell’ambito delle mazzette autostradali del Veneto; 6 mesi al processo per lo scandalo Enimont.
I giudici scrivono che gli illeciti «alimentavano il suo principesco stile di vita sia pubblica sia privata» ma gli sospendono la pena. La condizionale gli evita il carcere, non l’epilogo della carriera politica. Perché l’esilio craxiano ad Hammamet coincide con lo sfaldamento del partito, dalle macerie nasce il Nuovo Psi: d’intesa con Bobo Craxi, De Michelis ne assume le redini, si candida alle europee del 2004 e, grazie a 34 mila preferenze, vola a Strasburgo.
Ma è l’ultimo squillo. Poi il tramonto gli riserverà diaspore, polemiche, abbandoni. Che in verità affronta a testa alta, riconoscendo gli errori e rivendicando le intuizioni: «Sì, c’erano i nani e le ballerine ma a questa Italia servirebbe l’ottimismo riformista degli anni Ottanta», rifletterà nell’ultima intervista. Niente retorica, si diceva, tantomeno discorsi roboanti davanti al feretro: i suoi funerali, puntualizzano i familiari, si svolgeranno «in forma strettamente privata». —
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