Gender, se io sono una cattiva maestra

Padova è una strana città. Non capisco un sindaco che pretende di imbavagliare chi non la pensa come lui 
Franca Bimbi
Franca Bimbi
PADOVA. Cattiva maestra? Sono una “cattiva maestra”. E da quanto tempo? In Università, ma anche in varie occasioni pubbliche per quasi quaranta anni ho quasi sempre insegnato, fatto ricerca e scritto seguendo approcci e percorsi di Studi delle donne, Studi di genere, Studi femministi, in vari ambiti, in vari Corsi di studio in Sociologia, Seminari di Dottorato, conferenze pubbliche. Spiego alle mie studentesse e ai miei studenti come affrontare in maniera riflessiva lo studio degli scenari demografici attuali, della famiglia, del lavoro familiare, delle differenze di genere. Ho anche cominciato a presentare alcuni aspetti del vasto dibattitto pubblico che riguarda le ridefinizioni della famiglia: dalla fecondazione assistita, all’utero in affitto, all’aborto, ai matrimoni gay, ai vincoli posti al diritto alla famiglia dei migranti.
 
Riflettere sulla famiglia, sui suoi significati culturali, sulle sue strutture di potere, sulle forme della sua regolazione sociale e giuridica, significa affrontare la storia e le memorie di ciascuno di noi, intessuta dei legami sociali primari, ovvero delle relazioni con coloro che ci accolgono nel mondo, comunque li nominiamo, nelle diverse culture. Ho accennato anche al dibattitto sulla così detta “ideologia del gender” utilizzando documenti internazionali che hanno proposto l’uguaglianza di genere e il riconoscimento delle diverse culture di genere, a partire dalla Piattaforma di Pechino (1995). Già dieci anni prima, a Nairobi, negli organismi dell’Onu, si cominciò a discutere dei diritti riproduttivi delle donne e delle adolescenti.
 
Durante la lezione presento anche i documenti internazionali che respingono questa impostazione. Il dibattito è importante: non può essere taciuto e nemmeno dovremmo demonizzare le posizioni che non ci piacciono. A me non piace esser considerata un’assassina se scelgo di abortire, ma non cancellerei mai l’obiezione di coscienza dei medici, qualsiasi siano le ragioni per cui la esercitano. Stamattina ho lasciato la classe ricordando il “politeismo dei valori”, ovvero la lezione di Max Weber che richiama la condizione obbligata di pluralismo culturale della modernità. Questo ci ha permesso di uscire dai fondamentalismi, dalle guerre di religione, dalla negazione dei diritti alla differenza. Sul presupposto del riconoscimento delle differenze abbiamo scritto i primi articoli della Costituzione, dopo l’Olocausto e anche la Carta dei Diritti fondamentali dell’Ue.
 
Fare ideologia è l’opposto del riconoscimento del pluralismo culturale che rende la modernità non sempre giusta, ma abitabile attraverso la fatica del dialogo tra differenze, ognuna attaccata ai propri valori non negoziabili. Se vogliamo ritornare a tutte le forme di guerra (a volte quelle simboliche sono le più cruente: uccidono il pensiero critico), allora neghiamo di principio la validità dei punti di vista diversi dal nostro, facciamone una caricatura, spacciando i nostri punti di vista per l’unica lettura possibile della realtà. Dunque il genere. Dagli albori dell’antropologia culturale, Margaret Mead ci fa scoprire le diverse costruzioni del rapporto tra sesso e genere (allora non si usava questa dizione) e le diversità dei costumi sessuali o delle regolazioni matrimoniali.
 
Le definizioni e le interpretazioni oggi si sono moltiplicate: esse rispecchiano anche i diversi modi del sentirsi nel proprio corpo, da parte di donne e uomini; riguardano la molteplicità delle domande sociali di riconoscimento. Il sesso “determina” il genere come costruzione culturale? Il genere definito su basi culturali variabili “determina” il sesso? Sesso e genere devono coincidere nella “normalità” considerata prevalente? Sesso e genere sono intrinsecamente legati? Oppure: «È attraverso il corpo che il genere e la sessualità si espongono agli altri, implicati in processi sociali, iscritti in norme culturali, e appresi nei loro significati sociali». Questa frase è di Judith Butler, la “terribile” filosofa post-moderna, considerata da chi critica “l’ideologia del gender” uno degli agenti della “cultura della morte”, assieme a Simone de Beauvoir. Butler analizza la decostruzione contemporanea della normatività sociale, richiama la nostra attenzione sull’uso dei diritti sessuali come “arma” di minoranze contro altre minoranze, ci avverte che la vulnerabilità è la situazione costitutiva di ogni essere umano.
 
Una sociologa, più modestamente, insegna che quando la legge e la forza si ritraggono dalla famiglia, quando nella definizione sociale dei legami primari tende a prevalere la reciprocità, allora si moltiplicano le forme dei “contratti sociali” tra i sessi (o i generi) e si allentano gli obblighi pre-definiti tra le generazioni. Ognuno, in questa complessità, è maggiormente richiamato alla responsabilità verso di sé e al riconoscimento delle ragioni degli altri, considerando di principio la razionalità possibile anche delle opzioni che sembrano le più aberranti. Pensando ai temi gender, e alla miseria scientifica e culturale del dibattitto attuale, mi sento di consigliare una lettura: la rivista “Concilum”.
 
Vi si trova un dibattito teologico internazionale con scritti di teologi e teologhe (anche femministe) sui diritti delle donne, sulle strutture che rendono invisibili le donne nella chiesa, sull’omosessualità (2008) e sul gender (2012). Temo che, a parte gli specialisti, e qualche affezionato miscredente, la rivista venga letta soprattutto da alcuni recensori che la considerano dannosa e perciò ne ridicolizzano o demonizzano le posizioni a beneficio di chi legge poco o nulla di ciò che mette in discussione le proprie certezze.
 
Quanto a Padova, è una strana città. Non capisco un sindaco che pretende di imbavagliare chi non la pensa come lui, mentre rappresenta tutti i cittadini: semplicemente, dal mio parziale punto di vista, viola la Costituzione e dunque anche la sua stessa funzione. La città che lo sostiene (non ho dubbi su questo), lo approva anche in questo caso?
 
Franca Bimbi, ordinario di Sociologia

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