Gerosa: «Cardiochiururgia, fondi e strutture per vincere la sfida con l'estero»

PADOVA. «L’Azienda Zero? È positiva se garantisce maggiore volume di attività sanitaria, perché così si sviluppano le eccellenze oltre a portare a un contenimento di costi». A promuovere il nuovo modello di sanità veneta è il medico padovano probabilmente più conosciuto all’estero, il direttore del Dipartimento di Cardiochirurgia Centro Gallucci dell’Azienda Ospedaliera, Gino Gerosa. Il professore è intervenuto ieri al videoforum del Mattino di Padova (www.mattinopadova.it) per ripercorrere i 30 anni dal primo trapianto di cuore e per presentare i traguardi futuri. Obiettivi, ha spiegato Gerosa, strettamente legati alla ricerca che proprio l’équipe di Padova sta portando avanti con due progetti: uno per il cuore artificiale unisex (di dimensioni più piccole rispetto a quello attuale) e l’altro per il cuore rigenerato (di animale, ripulito delle cellule e ricoperto di staminali del paziente ricevente).
«Nel 2017 ci saranno i dieci anni dall’impianto del primo cuore artificiale totale italiano eseguito a Padova», precisa Gerosa, «Ora puntiamo all’impianto del primo cuore artificiale italiano. E ci stiamo anche muovendo con un altro progetto di ricerca molto ambizioso: prendere un cuore animale, decellularizzarlo, rimuovere tutte le cellule e ripopolarlo con le staminali del potenziale ricevente».
Professor Gerosa perché è importante arrivare al cuore artificiale unisex?
«L’Italia è al secondo posto in Europa come numero di donatori. La legge sul casco ha fatto sì che il classico donatore, ragazzo di 18 anni vittima di incidenti stradali motociclistici, fortunatamente sia sparito. Il donatore di oggi è un mio coetaneo che muore per emorragia o ischemia cerebrale. I donatori sono numerosi, ma il profilo clinico è peggiorato e quindi non abbiamo molti cuori da poter trapiantare. Dobbiamo sviluppare cuori artificiali totali che siano più biocompatibili e che garantiscano migliore qualità di vita per il paziente trapiantato».
Al cuore artificiale stanno lavorando francesi, giapponesi, tedeschi: in cosa si differenzia la ricerca padovana?
«I francesi hanno realizzato un cuore artificiale molto sofisticato usando tecnologia missilistica. I limiti: è molto voluminoso e il software molto complesso. A Pd puntiamo a un cuore più piccolo, più biocompatibile e più silenzioso.Questo dovrebbe garantire migliore qualità di vita».
Quale percentuale di pazienti può accedere al trapianto ?
«In Italia ci sono 800-900 pazienti in lista d’attesa e vengono eseguiti 250-300 trapianti all’anno. La mortalità in lista d’attesa è del 6-7%. Ci sono a disposizione vad e cuori artificiali intesi come ponte al trapianto. Ma, appunto, dobbiamo sviluppare cuori artificiali definitivi».
Servono soldi, quanti?
«Abbiamo già realizzato l’attuatore, che è il propulsore del cuore artificiale, con un finanziamento di circa 1 milione della Fondazione Cariparo. Con 50-70 milioni in 3-5 anni potremmo sviluppare i progetti».
Però ci sono i tagli alla sanità.
«Vero che ci sono i tagli e vero che c’è grave crisi, ma vediamo anche buttati molti soldi. Penso alle recenti vicende apparse sui giornali e di cui si è occupata anche la magistratura. I soldi ci sarebbero, raccogliere finanziamenti adeguati non è impossibile».
Avere un medico come il rettore Rizzutto alla guida dell’Università, aiuterà nello sviluppo della ricerca ?
«Aiuterà non solo per la ricerca, ma soprattutto nel rapporto con le autorità che governano il sistema sanitario regionale e nell’assistenza».
Soldi, ma anche strutture. Quanto è urgente il nuovo ospedale?
«Non voglio entrare nella querelle su dove si debba fare, ma c’è sicuramente necessità di una nuova struttura, al passo con i tempi. E la competizione oggi non è con Verona, ma tra il Veneto e Parigi, Londra, la Germania. Dobbiamo competere con realtà extranazionali»
Professore, come ci si abitua a gestire situazioni di emergenza in cui sono in gioco vite umane?
«Quando selezioniamo gli aspiranti chirurghi facciamo test sulle loro conoscenze scientifiche. Mi colpisce il fatto che non vengano eseguiti test psicofisici perché serve una forte componente fisica e di autocontrollo in chi vuole fare il cardiochirurgo. Dovrebbe essere fatta una selezione dal punto di vista psicofisico e delle attitudini psicologiche».
A raccontare la Cardiochirurgia padovana ora c’è “L'altro cuore: vite professionali, storie dei pazienti e scienza in Cardiochirurgia”, il libro da lei curato per Padova University Press.
«Sono orgoglioso del libro. Non è solo il cuore che si aggiusta e che si cambia quello a cui si fa riferimento, ma anche il cuore di medici e infermieri che si prendono cura degli ammalati».
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