Giorgio il chirurgo, volontario a 70 anni: "Mi piace sentirmi utile"

Padova capitale europea 2020. Gerunda ha diretto due centri trapianti, ma ora che è in pensione si dedica all'accoglienza

PADOVA. Certe idee hanno gambe e fiato per inseguirti tutta la vita. Quella che è venuta al chirurgo
Giorgio Gerunda, sul finire degli anni ’70, oggi appare quasi banale, nella sua semplicità. Ma non lo era a quel tempo. E il modo che il chirurgo ha trovato per realizzarla, appena andato in pensione, è tutto tranne che semplice.

«Mi sono accorto subito che persone poco abbienti erano costrette a vivere in condizioni precarie, lontano da casa, per stare vicino ai loro parenti malati. Questo risultava destabilizzante per le famiglie». È nato allora - e si è strutturato nel tempo - il progetto di offrire accoglienza a prezzi poco più che simbolici ai familiari dei pazienti. la casa di accoglienza Gerunda - che al rientro in Italia è andato a dirigere uno dei due centri trapianti di Padova (prima della loro unificazione) e poi quello di Modena, fino al 2017 - ha pensato soprattutto ai malati oncologici e trapiantati, dei quali si è sempre occupato.

Così, con il supporto di qualche amico e il sostegno economico di enti locali e fondazioni bancarie, ha messo in piedi, in via Santa Maria in Conio, in una struttura offerta dalla Diocesi, la casa di accoglienza Santa Rita da Cascia, un gioiello da 50 posti, con appartamenti di varie dimensioni, spazi comuni per l’incontro e la socialità e servizi. Il tutto a due passi dall’ospedale. «Qui ci sono comfort e privacy al minimo prezzo possibile», dice con orgoglio il chirurgo.

«Come facciamo?Chiediamo solo quello che ci serve per coprire le spese vive, che sono i sette stipendi del personale e poco di più». Il resto, infatti, è tutto affidato al volontariato che muove gli ingranaggi dell’associazione “Per una nuova vita Odv”. servizi e assistenza L’alloggio non è che una parte dell’offerta. «Abbiamo camere da due persone in un piano e da tre e quattro posti negli altri due piani», spiega
Gerunda.

«Ma noi affittiamo appartamenti e non letti, non cerchiamo il profitto». Il motivo di orgoglio, però, non è solo l’offerta “immobiliare”. «È importante tutto il resto», va avanti. «Offrire riservatezza e al tempo stesso occasioni di dialogo, supporto psicologico e consulenza sanitaria».

Per la quale, ovviamente, c’è lui.

«Gli spazi comuni si compongono di un soggiorno, una palestra, una cucina dove ogni pomeriggio i volontari preparano il tè e invitano gli ospiti a scendere, se ne hanno voglia. Nasce una comunità. Poi c’è chi torna, a distanza di tempo, e magari ritrova persone che conosce, si sente un po’ a casa». i menù condivisi La cena, soprattutto, diventa il momento dell’incontro. È nata così l’idea di lasciare che ogni ospite potesse organizzarne una, proponendo il suo menù e lasciandolo poi in regalo alla Casa. Due libri di ricette - e di lettere affettuose - sono già stati stampati e raccontano più di tante parole qual è il clima che si crea dentro questa casa, grazie alla professionalità del chirurgo e all’affettuosa premura di tutti gli altri.

«Di volontari fissi ne abbiamo una ventina, poi ce ne sono 50-60 occasionali, compresi quelli del servizio civile e quelli mandati dal tribunale perché sorpresi al volante dopo aver bevuto, che vengono qui a fare servizio, si affezionano e spesso continuano», racconta Gerunda.

«I volontari si prendono cura degli ospiti, propongono assistenza e visite della città, si offrono per commissioni. E io cerco di dargli quello che serve dal punto di vista sanitario. Abbiamo attivato convenzioni per i pasti, l’assistenza domiciliare integrata, facciamo in modo che possano avere un medico di riferimento a Padova per il tempo che stanno qui, gli offriamo una importante assistenza psicologica, perché attraversano periodi difficili».

il medico non va in pensione Gerunda non lo dice, ma a fare la differenza, in una struttura così, è la possibilità di avere la consulenza di un medico del suo livello. «Ho 73 anni ma non mi sento in pensione», dice.

«Faccio il volontario, ma è come se fossi ancora in servizio. Ho un cartellino per ogni paziente che ho avuto, e tanti mi chiamano ancora per un parere». Lui non si nega. Contatta colleghi, approfondisce. E chiarisce. «Tutto questo con il massimo rispetto per i miei colleghi», va avanti.

«Non mi sostituisco a nessuno. Cerco solo di rendermi utile. Farei anche di più, se potessi. Noi che abbiamo cominciato la nostra carriera nel 1972 e che siamo andati in pensione nel 2017, vorremmo ancora far qualcosa, gratis. Magari nell’ambulatorio dell’ospedale, dove c’è sempre tanto da aspettare».

Gerunda è la dimostrazione che si è medici per sempre. E che volontari si diventa, a qualsiasi età. «Nel Nordest è una cultura, forse l’abbiamo ereditata dagli Alpini. E io da medico ho sempre sentito dentro questa sensibilità, anche quando dovevo essere freddo e distaccato. Io vedo le persone ma penso alla soluzione dei loro problemi».

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