Giorgio Perlasca l’eroe silenzioso che cambiò la storia
Salvò migliaia di ebrei in Ungheria fingendosi un console Il segreto custodito in un cassetto per oltre quarant’anni

Quel giorno del 1980, 35 anni dopo l’inizio della sua seconda vita, chiamò a sé la moglie di Franco, suo figlio, e si concesse un unico breve momento di umana vanità: «Anche io in vita mia ho fatto qualcosa di buono», le disse, indicandole un cassetto. «Leggete le memorie che sono lì dentro». Colpito da un brutto ictus, Giorgio Perlasca era convinto di morire. Lo erano anche i suoi familiari, che infatti trascurarono la lettura delle memorie per dedicarsi alla più urgente cura del malato. E quando l’ormai settantenne si ristabilì, fu lui stesso a rimettere nel cassetto il suo diario. L’opera di un uomo che salvò dalla deportazione e dalla morte migliaia di ebrei ungheresi - c’è chi dice oltre 5 mila, chi 8 mila, ma forse anche di più - probabilmente non sarebbe mai stata conosciuta, se non fosse che il bene, come il male, torna spesso indietro e l’eroe silenzioso poco tempo dopo fu promosso al giusto rango dalle stesse persone che aveva salvato.
È una storia, questa, che ha dentro tutto: il fascista convinto che si arruola e parte per l’Africa e per la Spagna, poi rinnega il fascismo, ma resta uomo di destra, mai veramente antifascista. E però emarginato dallo stesso potere che appoggiava, finisce per combatterlo da dentro: mandato in Ungheria a commerciare carni, si trova nella condizione di sostituire, all’insaputa di tutti, l’ambasciatore spagnolo, che nel frattempo aveva lasciato Budapest. Con quel ruolo e con il falso nome di Jorge Perlasca, tra il dicembre del 1944 e il gennaio del 1945 lascia un segno nella storia di migliaia di persone. È un film, infatti lo è diventato, è un libro, ed è molto letto; è un simbolo e così è celebrato, prima di tutto in Israele dove è proclamato “Giusto tra le Nazioni” e un albero che porta il suo nome continua a crescere. È una tomba, a Maserà, paese nel quale è cresciuto - lui che era nato a Como - sulla quale si posano continuamente fiori e lettere di ringraziamento da tutto il mondo.
Dopo l’ictus ci vogliono ancora nove anni - altri nove anni di silenzio, dunque siamo nel 1989 - perché alcune donne ebree di Budapest, bambine al tempo della seconda guerra mondiale, si mettano in cerca di quel misterioso diplomatico spagnolo che le aveva salvate dai nazisti, firmando migliaia di salvacondotti al posto dell’ambasciatore spagnolo, organizzando raccolte di viveri, ospitando gli ebrei in case protette. Per tre anni, dopo il 1989, una volta ricostruita la sua vicenda, Giorgio Perlasca è celebrato in tutto il mondo come lo Schindler italiano, come un “Giusto delle Nazioni”, scritta che da sola compare sulla sua tomba a Maserà, vicino a una targhetta metallica che ricorda: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Morì il 15 agosto del 1992. Sono passati 25 anni esatti: la forza della sua opera e il valore del suo gesto sembrano assumere ogni anno più vigore. Sabato (11.30) a Maserà sarà ricordato con una cerimonia, come ogni anno perché una delibera del consiglio comunale ha istituzionalizzato questo momento e perché anche l’anno scorso, quando la giornata fu celebrata il 15, in pieno periodo di vacanze, più di cento persone si sono presentate in cimitero per onorare la memoria di un uomo capace di un grande gesto e di un grandissimo silenzio. Una Fondazione presieduta dal figlio Franco, ex assessore comunale di Padova ai tempi di Giustina Destro, opera in nome di Giorgio Perlasca promuovendo un’ottantina di iniziative (conferenze, incontri, visite) ogni anno, metà delle quali dedicate alle scuole. E potrebbero essere di più, perché le richieste arrivano di continuo. Perché il bene, forse anche più del male, torna spesso indietro.
Cristiano Cadoni
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